Programmazione Cinema Italia dal 19-06 al 25-06

Programmazione Cinema Italia dal 19-06 al 25-06

Michelangelo. Amore e Morte. di D. Bickerstaff 

Uomo dall’energia straripante, ossessionato dall’arte, a tratti selvatico, complesso, fragile, assolutamente geniale. Michelangelo Buonarroti (1475-1564), figlio del podestà Ludovico di Leonardo Buonarroti Simoni, fu uno dei giganti che attraversarono la magnifica stagione del Rinascimento italiano. La sua esistenza tormentata e burrascosa e il suo eccezionale talento ne fecero uno degli artisti più amati di tutti i tempi, autore di capolavori come il David, la Pietà, Mosè, la Cappella Medicea, la volta della Sistina e il Giudizio Universale, la Pietà Rondanini.

Scultore, pittore, architetto e poeta, l’artista nato a Caprese nel 1475 sarà il protagonista dell’ultimo docu-film, con eccezionali immagini in alta definizione, della stagione 2017 della Grande Arte al Cinema. Michelangelo. Amore e morte propone infatti un viaggio cinematografico d’eccezione attraverso le opere, i musei e i luoghi fondamentali della vita del Buonarroti: Firenze naturalmente, e poi Roma e la Città del Vaticano.

Diretto da David Bickerstaff e prodotto da Phil Grabsky il docu-film si snoda attorno a una delle figure più carismatiche ed enigmatiche del Rinascimento, esplorandone i rapporti con i contemporanei e l’eredità artistica che ha lasciato dietro di sé. Ripercorrendo la biografia di Vasari, si comincia con l’apprendistato nella bottega del Ghirlandaio e l’incontro con Lorenzo il Magnifico nel Giardino di San Marco, una sorta Accademia ante litteram dove i giovani talenti studiavano le opere e le tecniche artistiche, copiando giorno dopo giorno le collezioni di arte antica dei Medici; seguono lo studio attento del corpo umano, di cui ci racconta il professore di anatomia Peter Abrahams, e la relazione complessa con i vari, eccezionali artisti fiorentini dell’epoca. Il film invita gli spettatori ad esaminare intimamente le opere e il processo artistico di Michelangelo: dalle cave di Carrara da cui ha attinto i suoi marmi, come ci racconta Francesca Nicoli dei Laboratori Artistici Nicoli, sino ai segreti dei lavori di più recente attribuzione.

Il percorso si snoda infatti dalle opere più antiche, come i rilievi marmorei della Madonna della Scala e della Centauromachia conservati a Casa Buonarroti, cui ci introduce il direttore Alessandro Cecchi, per passare poi ad analizzare il Crocifisso di Santo Spirito in legno policromo, mostrando la cura con cui l’artista, ancora giovanissimo, riesce a descrivere l’anatomia del Cristo. Il documentario ci guida quindi alla scoperta dei grandi capolavori pittorici, dal Tondo Doni degli Uffizi alla Deposizione di Cristo nel sepolcro della National Gallery, dalla volta della Cappella Sistina al Giudizio Universale, e approfondisce il delicato e appassionato tema del non finito che caratterizza molte delle opere dell’artista

Il sentiero della felicità di P. Di Florio

In occasione della Giornata Mondiale dello Yoga. 

La vita e il messaggio dello swami Paramahansa Yogananda (1893 – 1952), portavoce della tradizione yogica in occidente e autore del best seller Autobiografia di uno Yogi. L’infanzia nel continente indiano, la morte della madre, il decennio di apprendimento nell’eremo del maestro Sri Yukteswar, l’approdo a Boston e la sua prima relazione ‘La scienza della religione’, il trasferimento a Los Angeles e la fondazione del Self-Realization Fellowship, le conferenze itineranti e il successo, le calunnie della stampa statunitense, il ritorno in India e il contatto con Gandhi, la morte del suo guru, l’ultimo addio al termine di un discorso ufficiale.

«Non è facile fare un film su un santo», mettono le mani avanti le registe Paola di Florio e Lisa Leeman. Ancor più difficile, se di un santo si parla, o meglio di un santone indiano dagli occhi vitrei e il volto femmineo, astenersi dall’agiografia. Realizzato su commissione della SRF, il documentario prodotto da Peter Rader funziona a stento come opera divulgativa. A poco servono i materiali di repertorio, le dichiarazioni dei professori di Harvard, le lodi di adepti illustri come Ravi Shankar e George Harrison, iniziato dallo stesso padrino della world music all’opera di Yogananda (questi, così come il suo mentore Yukteswar, furono significativamente immortalati entrambi nella copertina di Sgt. Pepper).

A non pagare è la qualità della messa in scena: se risulta discutibile la scelta di affidare la voce del guru all’interpretazione della star di Bollywood Anupam Kher, non meno fittizie riescono le ricostruzioni di ambienti e personaggi, commentate da una regia spesso illustrativa. Ne risente il valore documentale del progetto, che risulta posticcio anche in ragione dell’esiguo apporto filologico. La coppia di registe, entrambe praticanti di Hatha Yoga, chiede allo spettatore di accettare senza il beneficio del dubbio credenze parascientifiche come quelle secondo cui il Nostro sarebbe stato in grado di atterrare sei uomini con l’energia concentrata nell’addome, arrestare le pulsazioni del muscolo cardiaco, trasformare le cellule cerebrali per mezzo del solo sguardo. Il rischio è che invece della storia si racconti la leggenda o il mito, ed è un fatto che se si accusasse una simile narrazione di essere favolistica il film non avrebbe gli strumenti per difendersi.
Una fiaba tramandata da Yogananda col nome di ‘Il santo e il serpente’ racconta di un villaggio minacciato dal velenoso animale, solito uccidere i più piccoli con le sue fauci mortali. Disperati, gli abitanti del villaggio decidono di rivolgersi al santo per fermare la carneficina. In virtù del suo potere, il santo richiama il serpente fuori dal nido e gli comanda di non mordere i suoi amici. Ma quando al termine del pellegrinaggio di un anno il santo ritorna presso la roccia dove vive l’animale, questi giace a terra moribondo. Da quando hanno scoperto che sono innocuo, rantola il serpente, i bambini del villaggio mi hanno ferito ogni volta che ho abbandonato la tana in cerca di cibo. Sciocco, lo rimprovera il santo, ti ho detto di non mordere, ma perché non hai sibilato? Così Il sentiero della felicità, biopic senza mordente in cui l’esistenza di un mistico indiano e precettore spirituale diventa un’esperienza canonica o, peggio, già canonizzata.

Nocedicocco – il piccolo drago di N. West 

E’ la storia di un draghetto, appunto, Noce Di Cocco, il cui compito è fare la guardia all’erba del fuoco, un’erba importantissima per il suo clan che, grazie ad essa, è diventato un popolo di draghi sputafuoco. Quando Noce Di Cocco, per salvare un agnellino che sta per finire nelle fauci di altri draghi perde di vista l’erba, si scatena un incendio e succede un disastro. Riuscirà il piccolo drago a risolvere il pasticcio? 

Aspettando il Re di T. Tykwer con Tom Hanks

Fuori concorso al Tribeca Film Festival 2017. 

Tom Hanks si toglie i panni del pilota che fu in Sully, per indossare quelli di un impiegato, Alan Clay, di una nota società informatica, disilluso negli affetti e sull’orlo della bancarotta.
Mandato dalla società in cui lavora in Arabia Saudita per ottenere l’appalto di fornitura dei servizi informatici per una città avveniristica in costruzione nel mezzo del deserto, Clay scoprirà ben presto che la sua missione è più difficile del previsto. Accampato in una tenda insieme ai suoi colleghi sistemisti, attenderà invano l’arrivo di un Godot, il re della città, che sembra ritardare giorno dopo giorno la sua visita, rendendo l’attesa una sorta di continuo rimando alla presentazione dei prodotti di cui la ditta si fa vanto, ovvero, sistemi per videoconferenze basati su ologrammi.

Clay non si gode l’attesa come una vacanza, tutt’altro. Le sue giornate si svolgono in un continuo bascular tra il cantiere, la tenda e l’hotel a Gedda, ovvero tra l’isolamento e la relazione sociale con quella che dovrebbe essere la sua famiglia, la figlia lontana all’università e purtroppo anche con la convivenza con un’escrescenza alla spalla che cresce dentro di lui, come un alien che lo corrode dentro. Per fortuna supportato dall’amicizia con lo stralunato e simpatico Youssef, l’autista che ogni giorno lo accompagna all’hotel, Alan conoscerà l’amore con una mite dottoressa, ricostruendo la sua esistenza in quel bruciato Medio-Oriente che assurgerà a rediviva fenice.

L’occasione di A Hologram for the king tradotto abbastanza infelicemente in italiano come Aspettando il re è la riflessione su un bilancio della vita di un quarantacinquenne, Alan Clay appunto, sfruttando il pretesto abbastanza metaforico di un deserto dei tartari ove l’attesa è evidente propedeutica catarsi necessaria alla personale riabilitazione di sé.

Tra la sabbia che pervade tutto, isolando il protagonista dietro le mura fragili di un presente cui cerca di fuggire e una vita notturna mondana che vuol possedere in quel di Gedda tra discoteche e una donna che gli ronza attorno, affogando nell’alcool la sua frustrazione, Alan cercherà di trovare un senso alla sua vita, alla sua time line irrimediabilmente compromessa.

Strana commedia, quella diretta, da Tom Tykwer, basata sul romanzo di Dave Eggers Aspettando il re. Si potrebbe definire drammatica, simbolica: si pensi all’inizio ex abrupto in cui moglie, casa, famiglia svaniscono in esplosioni fumose e rossastre come sogni di vino, in cui Alan si trova in cima a una montagna russa scivolando pericolosamente giù e crollare, tutti segni di una minaccia, di un abisso dal quale il protagonista, dovrà cercare di risalire.

Con belle riprese delle moschee e della cultura araba, Aspettando il re è un film sfuggente, velatamente metaforico che non nasconde l’ironia grazie ai due protagonisti principali, Tom Hanks e Alexander Black in primis e al tempo stesso palesando un approccio drammatico alla “malattia”. Malattia che si fa occasione di rinascita per coltivare un amore con una dottoressa locale, la responsabile dell’operazione cui si sottoporrà il nostro protagonista.

In un ambiente dal duplice volto, ricco e opulento quanto umile e poetico, Alan ritroverà una compagna proprio nell’acqua, ossimoro in quel mondo, unico mezzo in grado di spazzare definitivamente via la polvere accumulatasi a strati sul suo cuore ridandogli forza, coraggio e soprattutto, restituendogli la sua dignità perduta di uomo..

Programmazione Cinema Italia dal 13-06 al 14-06

Programmazione Cinema Italia dal 13-06 al 14-06

 

Nocedicocco – il piccolo drago di N. West

 E’ la storia di un draghetto, appunto, Noce Di Cocco, il cui compito è fare la guardia all’erba del fuoco, un’erba importantissima per il suo clan che, grazie ad essa, è diventato un popolo di draghi sputafuoco. Quando Noce Di Cocco, per salvare un agnellino che sta per finire nelle fauci di altri draghi perde di vista l’erba, si scatena un incendio e succede un disastro. Riuscirà il piccolo drago a risolvere il pasticcio?

Quello che so di lei di M. Provost

In concorso al Festival di Berlino 2017.

Il cinema francese regala ruoli di spessore alle donne, non più ragazze, come nessun altra cinematografia. L’ennesima conferma arriva con un nuovo ruolo di rara intelligenza e consapevolezza di Catherine Deneuve, nel film di Martin ProvostQuello che so di lei. Un autore da sempre interessato all’universo femminile, basti pensare a Séraphine e Violette.

Il titolo originale (Sage femme) rimanda al nome con cui in Francia sono tradizionalmente chiamate le ostetriche, il cui antico sapere ha aiutato a nascere milioni di bambini e che Claire (Catherine Frot) nel film porta avanti con orgoglio. Le tecnologie moderne premono per un avvio alla vita meno legato all’esperienza, a quel metodo che privilegia l’elemento umano che per Claire è il senso stesso del lavoro e per molti anni della sua vita stessa. Il reparto maternità di un ospedale della periferia parigina in cui lavora sta chiudendo, e mentre deve decidere se passare a un nuovo fiammante sforna pargoli da 4000 nascite all’anno, riceve la telefonata di una donna, Béatrice (Catherine Deneuve), che arriva dritta dal suo passato. Sono trent’anni da quando è sparita, dalla vita di Claire e del padre, con cui aveva una relazione. Tutti e tre hanno vissuto per alcuni anni in allegria in una casa della rive gauche parigina. Ora ritorna perché malata, lei che ha sempre affrontato la vita con sfrontatezza bohemienne, vivendo in pieno senza rimpianti e godendo di ogni possibile gioia, pronta a sopportare le inevitabili cadute.

Quello che so di lei regala un ritratto di due donne completamente diverse: una rigorosa e sempre razionale, tutta dedita alla missione di far nascere nuove creature; l’altra irresponsabile, senza aver mai lavorato un giorno, pronta a giocarsi tutto al tavolo da gioco. La vita e la morte si affacciano continuamente nel film, crocevia di cambiamento per due donne e due grandi interpreti del cinema francese, alle prese con un rapporto prima diffidente e poi sempre più intimo, legato alla nostalgia di un passato d’amore per lo stesso uomo, padre o amante che fosse. Claire si fa convincere da Béatrice a prendere la vita meno sul serio, a colorarla di un sorriso infantile o di un bicchiere di troppo. Elogio dell’edonismo del buon vivere, della sigaretta come sinonimo di libertà, della carne rossa e del buon vino, si fa apprezzare soprattutto per le due grandi performance che ne sono il cuore pulsante, senza dimenticare il risveglio sensoriale per Claire rappresentato dal sanguigno camionista Olivier Gourmet.

Programmazione Cinema Italia dal 30-05 al 04-06

Programmazione Cinema Italia dal 30-05 al 04-06

 

This beautiful fantastic di Simon Aboud
Fuori concorso al BBC First British Film Festival in Australia, al New British Film Festival Russia e al Palm Springs International Film Festival.
Bella Brown è un’eccentrica ragazza londinese che, appassionata di letteratura, lavora in una nota libreria della città sognando un giorno di scrivere e illustrare un libro per bambini. Ritrovata abbandonata nel cuore di Hyde Park da neonata, Bella è crescita sviluppando una serie di manie compulsive e altre fobie che l’hanno portata, tra le altre cose, a non curare minimamente il giardino sul retro della sua abitazione. La sua routine quotidiana, spesso sconnessa dal resto del mondo, è interrotta bruscamente proprio quando il padrone di casa, dando seguito alle lamentele di un suo anziano vicino, le impone di rimediare al grave stato di degrado in cui ha lasciato il giardino minacciandola di sfratto. Ad aiutare Bella a superare le sue paure e a far rivivere fiori e piante abbandonate da tempo, è lo stesso vicino di casa, Alfie Stephenson, che accetta di condividere con lei le sue conoscenze da orticoltore grazie all’intercessione del suo maggiordomo e cuoco personale Vernon, facendole quindi da mentore e fonte d’ispirazione. Nel frattempo, in libreria Bella fa la conoscenza di un inventore quasi altrettanto eccentrico, il costruttore di “animali meccanici stravaganti” Billy, tra le cui un uccello che riesce a volare alimentato dal chiaro di luna. Tra i due si svilupperà presto una forte intesa romantica..
 
Maurizio Cattelan: be righe back di Maura Axelrod
Fuori concorso al Tribeca Film Festival 2017.
 
Prendete uno degli artisti più irriverenti, provocatori e geniali degli ultimi anni. E provate a immaginarvi cosa accadrebbe se tentaste di raccontare la sua carriera dirompente. Nell’impresa si è cimentata la regista Maura Axelrod che in Maurizio Cattelan: Be Right Back racconta uno dei personaggi più ironici dell’arte del nostro tempo, intervistando curatori, collezionisti, luminari del mondo dell’arte (ed ex-fidanzate) su ciò che rende unico l’autore di opere come La nona ora (che mostra Papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite) e Him (che ritrae Hitler in ginocchio, come uno scolaretto intento a pregare).
Dopo un periodo in cui si è specializzato in opere basate sulla tassidermia, Cattelan ha cominciato infatti a creare statue di cera a grandezza naturale dedicate a personaggi famosi: da qui sono nati alcuni dei suoi pezzi più celebri, come la sua Untitled, in cui da un buco nel pavimento esce l’autoritratto dell’artista. Maurizio Cattelan: Be Right Back ci accompagna in un viaggio vertiginoso in compagnia dell’uomo che, dalla fine degli anni Ottanta ad oggi, ha scosso il mondo dell’arte contemporanea con una serie di installazioni dirompenti a partire dalla celebre “Torno subito”, che prende il nome dal cartello che Cattelan aveva attaccato al muro della galleria che doveva ospitare la sua esposizione. Per arrivare sino ai manichini di bambini impiccati a un albero a Milano, a L.O.V.E (una mano aperta con un solo dito, il medio, che si staglia davanti alla Borsa di Milano) e a Daddy Daddy, un coloratissimo Pinocchio di Walt Disney affogato in una piscina. Tra i protagonisti del film anche Massimiliano Gioni, critico d’arte e direttore associato del New Museum of Contemporary Art di New York. I due diventano amici quando nel 1998 Gioni deve intervistare Cattelan per la rivista Flash Art.
Per ogni domanda Cattelan cerca una risposta online, riciclando frasi altrui. Si divertono così tanto che l’artista propone a Gioni di rilasciare una serie di interviste al suo posto, diventando in qualche modo la sua controfigura. Cosa che accade in numerose occasioni, divenendo a sua volta una performance.
Del resto nel corso della sua carriera ventennale, Maurizio Cattelan – nato a Padova nel 1960 da una famiglia modesta – non ha mai smesso di stupire come ha dimostrato anche Maurizio Cattelan: All, la retrospettiva del 2011 a lui dedicata dal Guggenheim Museum di New York, che ne ha consacrato definitivamente il successo. Così quello di Maura Axelrod si trasforma in un ritratto divertente e appassionato per capire chi sia davvero Maurizio Cattelan, dalle origini a oggi. Con tutta l’ironia che lo caratterizza..
 
Richard – Missione Africa di Toby Genkel
Fuori concorso al Festival di Berlino 2017.
Quando l’uovo si schiude e Richard apre gli occhi sul mondo per la prima volta, i suoi genitori non ci sono più e, al loro posto, il neonato passerotto trova la cicogna Aurora, che lo porta nel suo nido e lo cresce come un figlio. Col sopraggiungere dell’autunno, però, le cicogne dello stormo di Aurora, del suo compagno Claudius e del loro cucciolo Max, devono partire verso l’Africa, per sfuggire al freddo e obbedire alla loro natura. Anche se costa loro moltissimo, devono abbandonare Richard: non sopravviverebbe al viaggio. Ma il passero non ci sta: convinto di essere una cicogna, parte intrepido verso Sud, deciso a ricongiungersi con la sua famiglia.
Frutto di una task force tutta europea (Germania, Belgio, Lussemburgo, Norvegia), il film vola giustamente basso: come il passerotto protagonista deve fare i conti con le proprie forze, ma, anziché un limite, questo approccio si trasforma in virtù, contribuendo a mantenere le peripezie esposte su un piano credibile, per quanto straordinario. Attorno, le figure di contorno si dividono tra macchiette più di servizio che altro (i corvi mafiosi di Sanremo, il barista carceriere di Kiki) e personaggi minori ma non per efficacia, come Max, che porta il sentimento, e i piccioni “on line”, esilaranti emblemi satirici della dipendenza da social network.
Richard – Missione Africa, infine, è anche e soprattutto la storia di una migrazione, pericolosa ma obbligata: una storia che, in Europa, in questi anni, porta con sé, per forza di cose, un significato in più
 
Sette minuti dopo la mezzanotte di J.A. Bayona
Vincitore dei premi Goya 2017 e del Platinum Grand Prize al Future Film Festival 2017.
“7 minuti dopo la mezzanotte” è un film del regista spagnolo Juan Antonio Bayona, autore di film di successo come “The Orphanage” e “The Impossible”. La pellicola è l’adattamento dell’omonimo libro per bambini scritto da Patrick Ness, qui in veste di sceneggiatore.
Il Giovane Conor O’Malley vive un’infanzia molto difficile per la madre malata di cancro, perché lui stesso è vittima di bullismo a scuola e a causa un rapporto conflittuale con la nonna e il padre. L’unica cosa che porta sollievo al giovane è il disegno, nel quale può dare sfogo all’incredibile fantasia propria di un bambino.
Una notte, esattamente 7 minuti dopo la mezzanotte, viene a fargli visita un mostro molto particolare: privo di artigli o denti aguzzi; è un albero dalla forma umanoide, senza cattive intenzioni. Questo stringe un patto particolare con il giovane: gli racconta tre storie vere se in cambio Conor ne racconterà una che spieghi la sua verità.
Tre affascinanti racconti di formazione che permetteranno al giovane di comprendere la complessità dell’animo umano. L’incontro con questa creatura permetterà al giovane di affrontare la malattia terminale di sua madre e a convivere con la propria solitudine.
Il regista spagnolo ha scelto per il film un promettente cast hollywoodiano, tra cui Felicity Jones, nota maggiormente per i suoi ruoli in “La teoria del tutto”, “Rogue One: A Star Wars Story” e “Inferno”, stella nascente pronta a brillare. L’altra donna di “7 minuti dopo la mezzanotte” è Sigourney Weaver, attrice affermata e acclamata per tantissime interpretazioni, come “Ghostbuster” e “Avatar”. Poche presentazioni, dato che il nome parla già da sé per Liam Neeson, il Padre Feereira del “Silence” di Martin Scorsese, qui ‘nei rami’ dell’albero mostro.
La pellicola è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 2011, vincitore nel 2012 della Carnegie Medal e della Kate Greenaway Medal per il miglior libro per bambini, scritto da Patrick Ness, anche sceneggiatore del film.

Programmazione Cinema Italia dal 25-04 al 30-04

Footprints. Il cammino della vita. di  J.M. Cotelo
Un documentario che cerca di mettere la terra, il fango, la pioggia, la fatica, la malattia in un’area di non detto privilegiando stupende inquadrature dall’alto di luoghi incantevoli.
In Arizona pubblicarono questo annuncio: “Cerchiamo persone disposte a percorrere 1.000 km, camminando per 40 giorni. Non si offrono certezze di arrivare a destinazione, ma si assicurano giornate di sofferenza intensa, con caldo e freddo in parti uguali. Le lesioni muscolari e le vesciche sono più che probabili, così come lo scoraggiamento che inviterà ad abortire il piano. Si dormirà poco, alcune notti sulla dura terra o in un sacco a pelo sotto la pioggia. Se qualcuno perderà il sentiero, dovrà camminare più chilometri del previsto, così godrà più a lungo della bellezza incomparabile dei paesaggi della Spagna. Coloro che hanno già affrontato questo Cammino nel corso dei secoli, assicurano che aiuta a scoprire il senso della propria esistenza.” Chi vuole provarci? Un maestro di zumba, un filosofo, un pittore, un fotografo, un meccanico, un sacerdote, un musicista, un ingegnere, uno sportivo: non ci sono due persone simili, in questo gruppo di pellegrini. Forse l’unica cosa che li accomuna è l’essere dei folli. Hanno accettato una proposta assurda, senza pensarci troppo. Si sono conosciuti pochi giorni prima di iniziare il camino, non sospettando che l’esperienza del Cammino di Santiago li avrebbe uniti per sempre. Passo dopo passo, perdute molte cose che ritenevano imprescindibili, ne hanno trovate altre che neanche cercavano. per questo, all’arrivo a Santiago, non erano più gli stessi. E’ il punto misterioso di un pellegrinaggio.
Il segreto di  Jim Sheridan
Jim Sheridan, filmmaker irlandese pluripremiato per Il mio piede sinistro e Nel nome del padre, si torna sul grande schermo con Il segreto (The Secret Scripture, Irlanda, 2016), portato alla luce da un cast che vanta la presenza di Vanessa Redgrave, Rooney Mara, Eric Bana, Theo James, insieme agli irlandesi Aidan Turner, Jack Reynor e Tom Vaughan-Lawlor.
La trama è dedicata alla centenaria Roseanne McNulty (Vanessa Redgrave), rinchiusa nell’ospedale psichiatrico irlandese Roscommon, sin dalla fine della Seconda guerra mondiale. La donna molto bella in gioventù (interpretata da Rooney Mara), ormai aspetta la fine dei suoi giorni, sedata e in solitudine, sino a quando le politiche governative decretando la chiusura dell’istituto, spingono il Dr. William Gene (Eric Bana) a ricostruire la storia clinica di Roseanne e risalire al motivo della sua degenza. In palese difficoltà e mettendo da parte la professionalità, sarà William a scoprire, nascosto sotto le assi del pavimento, il libro di memorie scritto dalla donna e il segreto che cela.
Tratto dall’omonimo best seller di Sebastian Barry, vincitore del prestigioso James Tait Black Memorial Prize, il Premio Libro dell’Anno ai Costa Award e il Premio Romanzo dell’Anno e Choice Award agli Irish Book Award, l’adattamento cinematografico di Johnny Ferguson (Gangster No. 1), porta sul grande schermo la misteriosa e tragica storia della centenaria paziente, svelata dal suo psichiatra, insieme a un amore grande quanto le ingiustizie affrontate con coraggio dalla donna in gioventù.
 
I corti della FICE – edizione 2017 di  AA.VV.
La Presidenza nazionale Federazione Cinema d’Essai anche quest’anno propone la significativa rassegna di Cortometraggi FICE che compongono la XVIII edizione dell’iniziativa “Cortometraggi che passione”.
Si tratta dei seguenti titoli:
A CASA MIA di Mario Piredda (15’), vincitore del David di Donatello 2017
A METÀ LUCE di Anna Gigante (15’)
BELLISSIMA di Alessandro Capitani (12’), vincitore del David di Donatello 2016
GIRO DI GIOSTRA di Massimiliano Davoli (15’)
IL POTERE DELL’ORO ROSSO di Davide Minnella (15’), Premio ANEC-FICE a Cortinametraggio 2016
GLI INVISIBILI di Adriana Riondato (8’)
Phantom Boy di J-L. Felicioli, A. Gagnol
New York. Leo è un ragazzino di undici anni, malato di leucemia, che ha la capacità di uscire dal suo corpo e, come un fantasma invisibile a tutti, passare attraverso le pareti e volare in cielo. In ospedale, dove viene ricoverato per le cure necessarie alla malattia, incontra Alex, un ispettore di polizia ferito da un misterioso malvivente sfigurato. Grazie ai poteri straordinari del ragazzo, l’ispettore potrà ritornare sulle tracce del gangster, che minaccia di distruggere la città con un potente virus informatico…
Dalla Ville Lumière alla Grande Mela, da Un gatto a Parigi a Phantom Boy. Diversa ambientazione geografica, ma identico tratto di matita, semplice e funzionale, e stesse atmosfere noir, colte e citazioniste. Il nuovo lungometraggio di animazione di Jean-Loup Felicioli e Alain Gagnol si muove dunque lungo le coordinate del poliziesco, più precisamente dell’hard boiled, mettendo in scena con un’angolatura narrativa originale una detective story nata in stanza d’ospedale (con l’undicenne Leo, in cura chemioterapica, a sostenere con i suoi poteri segreti l’azione del poliziotto Alex) e, prima ancora, nella quiete domestica familiare (con il ragazzo a leggere alla sorellina, prima di addormentarsi, un albo di fumetti action, la sua passione).
Sostenuto da un plot ricco di slanci, animato da una tensione interna che pesca con cura nell’immaginario della detection, non privo, come è naturale, di momenti ironici e situazioni comiche, Phantom Boy pulsa di una carica umana ammirevole, rintracciabile sia nella lucidità con cui il ragazzo affronta la grave malattia, sia nella “giusta distanza” emotiva con cui i suoi genitori ne seguono il decorso. Con i poteri straordinari di cui dispone, Leo arriva a indossare i panni di quell’eroe da sempre immaginato che, liberato da un corpo-zavorra e da una patologia degenerativa, si fa paladino delle sorti della popolazione. E il film, incentrato su questo cardine narrativo, tanto azzardato in sede di sceneggiatura quanto solido nella sua traduzione in immagini, addossa su di sé, rilasciandoli allo spettatore, i desideri di un adolescente e la forza liberatoria della fantasia, gli intrighi “neri” di derivazione letteraria e un coinvolgente profumo di famiglia che non viene mai meno..
Lasciati andare di F. Amato
È cosa risaputa: un bravo psicanalista deve rimanere impermeabile alle emozioni che gli scaricano addosso i suoi pazienti. Ma nel caso di Elia, un analista ebreo, c’è il sospetto che con gli anni la lucidità sia diventata indifferenza e il distacco noia. Ieratico e severo, con un senso dell’umorismo arguto e impietoso, Elia tiene tutti a distanza di sicurezza, persino la sua ex moglie Giovanna, che vive nell’appartamento di fronte e con cui continua a condividere il bucato e qualche serata al teatro dell’Opera. Quel che si dice un’esistenza avara d’emozioni, che Elia sublima mangiando dolci di nascosto e in gran quantità, finché un giorno, a causa di un lieve malore, è costretto a mettersi a dieta e a iscriversi in palestra.
Ed è così che nella sua vita irrompe Claudia, una personal trainer buffa ed eccentrica, con il culto del corpo, nessun timore reverenziale per i cervelloni fuori forma come lui e un’innata capacità di trascinare nei suoi casini chiunque le capiti a tiro.

Baby Boss di T. Mcgrath

Nelle mani del regista di Megamind, Tom McGrath, la vicenda dell’arrivo di un fratellino, raccontata dal punto di vista del fantasioso fratello maggiore, il settenne Tim Templeton, assume proporzioni da pacco-bomba. Il nuovo arrivato, infatti, è un tipo a dir poco originale, indossa un abito completo e stringe in mano una ventiquattrore, possiede (nella versione originale) la voce e l’ironia di Alec Baldwin, e cela un pericoloso segreto. Tim è costretto a scendere a patti con lui: lo aiuterà a portare a termine la sua missione confidenziale, a patto che poi il piccoletto si tolga di torno.
Con ironia e tenerezza la Dreamworks spettacolarizza uno dei momenti più delicati della vita del bambino: la nascita di un fratellino, con la valanga di aspettative infrante che porta con sé e il carico altrettanto pesante di timori che lo accompagnano, primo fra tutti quello di vedersi abbandonare dall’amore dei genitori a suo unico e insopportabile beneficio.

ALLE RADICI DELLA VITA – JUNIOR

Il Cinema Italia
una rassegna di film per bambini collegata all’ambiente, all’ecologia ed alla natura.
ALLE RADICI DELLA VITA – JUNIOR

L’ecologia integrale dell’Enciclica “Laudato Sì” attraverso il
cinema. L’iniziativa culturale, prende spunto dall’Enciclica di Papa Francesco e tratta il tema dell’ambiente.
“L’ecologia integrale come paradigma concettuale.
Da un punto di vista concettuale, papa Francesco assume il termine “ecologia” non nel significato generico e spesso superficiale di una qualche preoccupazione “verde”, ma in quello ben più profondo di approccio a tutti i sistemi complessi la cui comprensione richiede di mettere in primo piano la relazione delle singole
parti tra loro e con il tutto. Il riferimento è all’immagine di ecosistema.
L’ecologia integrale diventa così il paradigma capace di tenere insieme fenomeni e problemi ambientali (riscaldamento globale, inquinamento, esaurimento delle risorse, deforestazione, ecc.) con questioni che normalmente non sono associate all’agenda ecologica in senso stretto, come la vivibilità e la bellezza degli spazi urbani o il sovraffollamento dei trasporti pubblici. Ancora di più, l’attenzione ai legami e alle relazioni
consente di utilizzare l’ecologia integrale anche per leggere il rapporto con il proprio corpo (n. 155), o le dinamiche sociali e istituzionali a tutti i livelli: «Se tutto è in relazione, anche lo stato di salute delle istituzioni di una società comporta conseguenze per l’ambiente e per la qualità della vita umana» (n. 142).
Si può quindi parlare di una dimensione sociale dell’ecologia, o meglio di una vera e propria «ecologia sociale [che] è necessariamente istituzionale e raggiunge progressivamente le diverse dimensioni che vanno dal gruppo sociale primario, la famiglia, fino alla vita internazionale, passando per la comunità locale e la Nazione» (ivi).
I film proposti sono:

– PANTHOM BOY di Jean-Loup Felicioli, Alain Gagnol
22 aprile ore 18.20, 23 aprile ore 18.20 e 29 aprile ore 18.20
Vincitore del Future Film Festival 2016

New York. Leo è un ragazzino di undici anni, malato di leucemia, che ha la capacità di uscire dal suo corpo e, come un fantasma invisibile a tutti, passare attraverso le pareti e volare in cielo. In ospedale, dove viene ricoverato per le cure necessarie alla malattia, incontra Alex, un ispettore di polizia ferito da un misterioso malvivente sfigurato. Grazie ai poteri straordinari del ragazzo, l’ispettore potrà ritornare sulle tracce del gangster, che minaccia di distruggere la città e l’ambiente con un potente virus informatico…

– SASHA E IL POLO NORD di Rémi Chayé
13 maggio ore 18.20, 20 maggio ore 18.20, 23 maggio ore 18.20, 28 maggio ore 18.20

San Pietroburgo, 1882. Sasha, una giovanissima aristocratica russa, sogna il Grande Nord e si strugge per suo nonno Oloukine, un rinomato esploratore dell’Artico che non ha mai fatto ritorno dall’ultima spedizione alla conquista del Polo Nord. Oloukine ha trasmesso la sua vocazione a Sasha, ma i genitori della ragazza meditano di darla presto in sposa, e hanno già organizzato per lei le nozze. Sasha però si ribella a questo destino e decide di partire alla ricerca di Oloukine, verso il Grande Nord…

– RICHARD MISSIONE AFRICA di Toby Genkel
02 giugno ore 18.20, 04 giugno ore 18.20, 10 giugno ore 18.20, 11 giugno ore 18.20

Il passero Richard viene adottato e cresciuto da una famiglia di cicogne ma incontra i primi problemi quando, con l’avvicinarsi dell’inverno, le cicogne devono migrare in Africa e anche lui vuole andare con loro. Così inizia a viaggiare attraverso l’Europa in compagnia di un eccentrico gufo e di un parrocchetto narcisista, con il desiderio di dimostrare alla “sua” famiglia di cicogne di essere anche lui una cicogna.

– NOCEDICOCCO – IL PICCOLO DRAGO di Nina West.
24 giugno ore 18.15, 25 giugno ore 18.15, 01 luglio ore 18.15 e 2 luglio ore 18.15

Nocedicocco è un giovane esemplare di drago che vive, insieme ai suoi genitori e amici, in un clan di draghi che, nel tempo, sono diventati famosi in tutto il mondo per merito della loro forza, derivata dal saper sputare fuoco. La fonte di questo potere è racchiusa nell’erba del fuoco, ed è proprio Nocedicocco a dover provvedere alla sua salvaguardia.
Qualcosa però rompe l’armonia: per difendere un giovane vitellino che sta per essere mangiato da altri draghi, Nocedicocco trascura il suo compito e l’erba del fuoco finisce per causare un enorme incendio. Sarà compito del protagonista di “Nocedicocco – Il piccolo drago” risolvere l’incresciosa situazione.

ALLE RADICI DELLA VITA – rassegna sull’ecologia

Il Cinema Italia
una rassegna di film collegate all’ambiente, all’ecologia ed alla natura.
ALLE RADICI DELLA VITA
L’ecologia integrale dell’Enciclica “Laudato Sì” attraverso il
cinema. L’iniziativa culturale, prende spunto dall’Enciclica di Papa Francesco e tratta il tema dell’ambiente.
“L’ecologia integrale come paradigma concettuale.
Da un punto di vista concettuale, papa Francesco assume il termine “ecologia” non nel significato generico e spesso superficiale di una qualche preoccupazione “verde”, ma in quello ben più profondo di approccio a tutti i sistemi complessi la cui comprensione richiede di mettere in primo piano la relazione delle singole
parti tra loro e con il tutto. Il riferimento è all’immagine di ecosistema.
L’ecologia integrale diventa così il paradigma capace di tenere insieme fenomeni e problemi ambientali (riscaldamento globale, inquinamento, esaurimento delle risorse, deforestazione, ecc.) con questioni che normalmente non sono associate all’agenda ecologica in senso stretto, come la vivibilità e la bellezza degli spazi urbani o il sovraffollamento dei trasporti pubblici. Ancora di più, l’attenzione ai legami e alle relazioni
consente di utilizzare l’ecologia integrale anche per leggere il rapporto con il proprio corpo (n. 155), o le dinamiche sociali e istituzionali a tutti i livelli: «Se tutto è in relazione, anche lo stato di salute delle istituzioni di una società comporta conseguenze per l’ambiente e per la qualità della vita umana» (n. 142).
Si può quindi parlare di una dimensione sociale dell’ecologia, o meglio di una vera e propria «ecologia sociale [che] è necessariamente istituzionale e raggiunge progressivamente le diverse dimensioni che vanno dal gruppo sociale primario, la famiglia, fino alla vita internazionale, passando per la comunità locale e la Nazione» (ivi).
La potenza del paradigma dell’ecologia integrale appare pienamente nella sua capacità di analisi, e quindi di rintracciare una radice comune a fenomeni che, presi separatamente, non possono essere davvero compresi: «Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura» (n. 139).
In altre parole, «non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (n. 49)”. (G.Costa, P. Foglizzo – L’ECOLOGIA INTEGRALE,
Aggiornamenti Sociali – Agosto- Settembre 2015)
I film proposti sono
– LA TARATARUGA ROSSA di Michaël Dudok de Wit
Un’opera semplice e metaforica che disegna la vita attraverso le sue tappe ed esprime un rispetto profondo per la natura e la natura umana.
La tartaruga rossa debutta con una tempesta in alto mare. Onde gigantesche frangono con furore lo schermo. Un naufrago è al cuore di quel movimento poderoso. Tra l’uomo e la natura si scatena una guerra ineguale. Il motivo è dato ma il sontuoso film d’animazione di Michaël Dudok de Wit si prende tutto il tempo per rovesciarlo nel suo contrario: un’emozionante storia di riconciliazione e di fusione amorosa. Perché quella che dispiega La tartaruga rossa è una forza misteriosa, qualche volta accogliente e qualche altra riluttante, qualche volta impassibile, qualche altra instabile.
Animato a mano con acquerello e carboncino, La tartaruga rossa respira con la natura e parla la sua lingua. Senza dialoghi, questo racconto contemplativo si esprime attraverso la luce cangiante, il fragore di un temporale, lo schianto di un tuono, lo scroscio di una corrente di acqua dolce, il crepitio del fuoco, l’infrangersi delle onde, il fruscio delle foglie.
– FOOTPRINTS – IL CAMMINO DELLA VITA di Juan Manuel Cotelo
Un documentario che cerca di mettere la terra, il fango, la pioggia, la fatica, la malattia in un’area di non detto privilegiando stupende inquadrature dall’alto di luoghi incantevoli.
Il cammino non è solo fatica ma è ricco di conforti e stimoli spirituali: la messa ogni giorno, il rosario da recitare camminando, i momenti di riposo impiegati con un lettura spirituale, la visita a Loyola, la città natale di S. Ignazio; il conforto di scoprire, davanti alla sua statua, che anche San Francesco compì il pellegrinaggio fino alla tomba di San Giacomo, per impetrare una intercessione a favore dell’ordine che stava per costituire; l’arrivo al Santo Toribio de Liebana dov’è conservata una reliquia della Santa Croce; il sudario di Cristo nella cattedrale di Oviedo. Da quel momento in poi, ogni prova psicologica è stata superata e una gioia contagiosa anima tutto il gruppo: l’obiettivo è stato raggiunto ancor prima di arrivare a Compostela: tutte le prove sono state superate ed è come se da quel momento tutto il pellegrinaggio fosse in discesa fino alla meta.
Juan Manuel Cotelo è riuscito, con questa docu-fiction, a raggiungere un obiettivo arduo ma entusiasmante: raccontare la storia di un viaggio spirituale e ha realizzato, fra i tanti film e documentari sullo stesso tema, forse l’opera più approfondita sul Cammino di Santiago de Compostela, che ha attirato da secoli santi e comuni peccatori.
Un’ottima fotografia fa onore ai magnifici paesaggi che si incontrano lungo il percorso e, nella sua produzione più recente, è forse il lavoro più compiuto e armonioso realizzato da Cotelo
– ALLA RICERCA DI UN SENSO di Marc de la Ménardière e Nathanael Coste
film sottotitolato in italiano
Alla ricerca di un senso è un film on demand nel vero senso della parola: a disposizione cioè di qualunque associazione, scuola o gruppo di cittadini ne faccia richiesta, e già in questo sta la sua singolarità. Non si tratta infatti di un classico documentario pensato, scritto, prodotto e distribuito, ma di un film nato dalle spontanee esigenze degli autori, amici d’infanzia, che si sono ritrovati dopo 10 anni che non si vedevano: Marc de la Ménardière e Nathanael Coste, geografo
È significativo che a porsi domande sul senso della vita e sullo scollamento tra l’uomo e la terra che gli dà i mezzi di sostentamento ma che lui spesso neanche vede, costretto com’è per tutta la vita a vivere dentro scatole, siano ragazzi di meno di 30 anni. Tocca infatti agli esponenti delle nuove generazioni, che hanno avuto in eredità un mondo depredato dall’ingordigia delle multinazionali, dove in pochissimi possiedono una ricchezza oscena in confronto ai milioni di poveri totali, provare a fare quello che i loro genitori non sono stati in grado di ottenere: rendere la terra un luogo più vivibile e cooperare per uno sfruttamento che assecondi i cicli della natura, senza veleni e pesticidi, lasciando spazio all’individuo per riconnettersi con le proprie esigenze interiori.
– BANDIZE – STORIE VENETE DI CONFINE di Alessio PAdovese
23 maggio ore 21 e 24 maggio ore 18.20
Bandiza era il termine con cui si indicava il confine fra due province, nel film-documentario è la frontiera spazio-temporale tra le storie raccontate. Il film-documentario fa vedere un territorio devastato da uno dei peggiori inquinamenti in Italia e nell’intera Europa, una terra dei fuochi nordestina: fumi degli inceneritori, polluzione dovuta al traffico o a industria pesante. Inoltre mostra opere che consumano contrade, ambiente e persone. Dalle montagne delle Dolomiti bellunesi, dalle foci del fiume a Rovigo, alla pianura padana, alle città del Veneto.
All’ inizio del documentario un bambino, stanco del traffico, conta i tir che passano vicino alla sua casa, dai 500 ai 1000 al giorno. Ha in testa un rumore continuo, giorno e notte, insopportabile e si chiede quale sarà il suo futuro.
Si è data voce a storie venete, di grande peso sociale, di persone alle quali è stata rubata la possibilità di avere un sostentamento economico, senza la possibilità di lavorare, con la consapevolezza di aver perso tutto.
Prossimamente sarà pronta anche la rassegna, con lo stesso tema, indirizzata ai ragazzi.
Speriamo di vedervi numerosi e vi rimandiamo all’allegata locandina.
Buona Pasqua.

Programmazione Cinema Italia dal 17-04 al 23-04

La bella e la bestia di Bill Condon
Ventisei anni dopo il film d’animazione che per primo sfondò la barriera della nomination all’Oscar come Miglior Film, la Disney torna su quei luoghi incantanti: il villaggio francese di Belle e il castello stregato della Bestia, dove un orologio, un candelabro, una teiera e la sua tazzina, il piccolo Chicco, trascorrono l’esistenza prede di un sortilegio, sperando che non cada anzitempo l’ultimo petalo di una rosa o non torneranno mai più umani.
Il film di Bill Condon arriva evidentemente sull’onda degli altri remake in live action dei classici Disney, ma sceglie una strada differente rispetto, per esempio, alla revisione di Cenerentola firmata da Kenneth Branagh.

Footprints. Il cammino della vita. di J.M. Cotelo
Un documentario che cerca di mettere la terra, il fango, la pioggia, la fatica, la malattia in un’area di non detto privilegiando stupende inquadrature dall’alto di luoghi incantevoli.
In Arizona pubblicarono questo annuncio: “Cerchiamo persone disposte a percorrere 1.000 km, camminando per 40 giorni. Non si offrono certezze di arrivare a destinazione, ma si assicurano giornate di sofferenza intensa, con caldo e freddo in parti uguali. Le lesioni muscolari e le vesciche sono più che probabili, così come lo scoraggiamento che inviterà ad abortire il piano. Si dormirà poco, alcune notti sulla dura terra o in un sacco a pelo sotto la pioggia. Se qualcuno perderà il sentiero, dovrà camminare più chilometri del previsto, così godrà più a lungo della bellezza incomparabile dei paesaggi della Spagna. Coloro che hanno già affrontato questo Cammino nel corso dei secoli, assicurano che aiuta a scoprire il senso della propria esistenza.” Chi vuole provarci? Un maestro di zumba, un filosofo, un pittore, un fotografo, un meccanico, un sacerdote, un musicista, un ingegnere, uno sportivo: non ci sono due persone simili, in questo gruppo di pellegrini. Forse l’unica cosa che li accomuna è l’essere dei folli. Hanno accettato una proposta assurda, senza pensarci troppo. Si sono conosciuti pochi giorni prima di iniziare il camino, non sospettando che l’esperienza del Cammino di Santiago li avrebbe uniti per sempre. Passo dopo passo, perdute molte cose che ritenevano imprescindibili, ne hanno trovate altre che neanche cercavano. per questo, all’arrivo a Santiago, non erano più gli stessi. E’ il punto misterioso di un pellegrinaggio.
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Loving di Jeff Nichols
Richard Loving vive in una zona rurale della Virginia americana. Sua madre fa la levatrice, lui è muratore, e si diletta a mettere mano ai motori delle automobili per farle vincere alle gare di strada. È innamorato di Mildred, ricambiato, e la porta a Washington per sposarla. Ma è il 1959 e la Virginia punisce con il carcere le unioni miste. Al bianco Richard e alla nera Mildred non resta che dichiararsi colpevoli e accettare un esilio di 25 anni in un altro stato. Grazie all’interessamento della lega per i diritti civili, il caso Loving versus Virginia arriverà fino alla corte Suprema.
Il bianco può essere un colore accecante e doloroso. È quello che sperimenta il personaggio di Richard Loving uscendo dal buio della notte e della cella e scontrandosi con l’abbagliante luce del sole e con la durezza dello sceriffo locale e della sua ideologia separatista.

Alla ricerca di un senso di N. Coste e M. de la Menardiere
Alla ricerca di un senso è un film on demand nel vero senso della parola: a disposizione cioè di qualunque associazione, scuola o gruppo di cittadini ne faccia richiesta, e già in questo sta la sua singolarità. Non si tratta infatti di un classico documentario pensato, scritto, prodotto e distribuito, ma di un film nato dalle spontanee esigenze degli autori, amici d’infanzia, che si sono ritrovati dopo 10 anni che non si vedevano: Marc de la Ménardière a 26 anni vive a New York e ha un lavoro prestigioso per una grande azienda francese, che lo mette a contatto quotidianamente col glamour e le celebrità (in pratica, si tratta di vendere l’acqua d’Oltralpe agli americani), mentre Nathanael Coste, geografo, ha realizzato dei documentari sull’ambiente e si è occupato tra l’altro dei problemi della distribuzione dell’acqua (non certo in bottiglia) in India.
Prima di tornarci, Nathanael lascia a Marc alcuni di questi film, che lui vede quando è costretto a casa per un incidente che lo immobilizza. Da lì, inizia a porsi delle domande sul senso di quello che è e quello che fa e decide di lasciare il lavoro, tra lo sconcerto dei suoi famigliari, e raggiungere l’amico in India, dove fanno le prime interviste. Quando tornano, visionando il materiale, decidono di continuare il loro viaggio alla ricerca di forme di vita alternative a quelle che conosciamo e lì nasce l’idea di un film, che vede la luce dopo 5 anni, una campagna di crowdfunding che permette di pagare la post-produzione e arriva alla gente, autodistribuito, completando un ciclo virtuoso.
È significativo che a porsi domande sul senso della vita e sullo scollamento tra l’uomo e la terra che gli dà i mezzi di sostentamento ma che lui spesso neanche vede, costretto com’è per tutta la vita a vivere dentro scatole, siano ragazzi di meno di 30 anni. Tocca infatti agli esponenti delle nuove generazioni, che hanno avuto in eredità un mondo depredato dall’ingordigia delle multinazionali, dove in pochissimi possiedono una ricchezza oscena in confronto ai milioni di poveri totali, provare a fare quello che i loro genitori non sono stati in grado di ottenere: rendere la terra un luogo più vivibile e cooperare per uno sfruttamento che assecondi i cicli della natura, senza veleni e pesticidi, lasciando spazio all’individuo per riconnettersi con le proprie esigenze interiori.
A chi è già sensibile a questi problemi possono sembrare a tratti ovvie le risposte che gli intervistati danno a Marc, ma è significativo che si trovino tutti sulla stessa lunghezza d’onda, ovunque vivano e attuino la loro alternativa di vita e qualunque sia la loro identità e il loro lavoro: l’astrofisico, lo sciamano, i coltivatori di agroecologia, il filosofo, il biologo o la psicoterapeuta concordano sul fatto che un vecchio modello sta morendo e che non si debba rianimarlo ma pensare a nuovi modi di vita che in parte costituiscono nel recuperare la conoscenza della terra e i vecchi metodi di coltivazione.
Saper ascoltare, saper domandare, cercare ognuno il proprio senso della vita: è questo che si propongono Marc De La Ménardière e Nathanael Coste col loro lavoro (in cui tra l’altro ci ricordano anche quanto è bello e vario il mondo): suscitare un dibattito e una consapevolezza anche nel più abitudinario ed esaurito tra di noi. Anche se non tutti – molto pochi a dire il vero – possono permettersi di lasciare il lavoro o di frequentare seminari di meditazione dall’altra parte del mondo, ognuno a modo suo può trovare il suo spazio di ricerca interiore, fare pace con se stesso e con il mondo che lo circonda. In un pianeta di cui siamo ospiti e che abbiamo sempre trattato da colonizzatori, fermarci a riflettere e ad analizzare la causa della nostra insoddisfazione è il minimo che possiamo fare e la visione di Alla ricerca di un senso può essere di stimolo per farlo.

Phantom Boy di J-L. Felicioli, A. Gagnol
New York. Leo è un ragazzino di undici anni, malato di leucemia, che ha la capacità di uscire dal suo corpo e, come un fantasma invisibile a tutti, passare attraverso le pareti e volare in cielo. In ospedale, dove viene ricoverato per le cure necessarie alla malattia, incontra Alex, un ispettore di polizia ferito da un misterioso malvivente sfigurato. Grazie ai poteri straordinari del ragazzo, l’ispettore potrà ritornare sulle tracce del gangster, che minaccia di distruggere la città con un potente virus informatico…
Dalla Ville Lumière alla Grande Mela, da Un gatto a Parigi a Phantom Boy. Diversa ambientazione geografica, ma identico tratto di matita, semplice e funzionale, e stesse atmosfere noir, colte e citazioniste. Il nuovo lungometraggio di animazione di Jean-Loup Felicioli e Alain Gagnol si muove dunque lungo le coordinate del poliziesco, più precisamente dell’hard boiled, mettendo in scena con un’angolatura narrativa originale una detective story nata in stanza d’ospedale (con l’undicenne Leo, in cura chemioterapica, a sostenere con i suoi poteri segreti l’azione del poliziotto Alex) e, prima ancora, nella quiete domestica familiare (con il ragazzo a leggere alla sorellina, prima di addormentarsi, un albo di fumetti action, la sua passione).
Sostenuto da un plot ricco di slanci, animato da una tensione interna che pesca con cura nell’immaginario della detection, non privo, come è naturale, di momenti ironici e situazioni comiche, Phantom Boy pulsa di una carica umana ammirevole, rintracciabile sia nella lucidità con cui il ragazzo affronta la grave malattia, sia nella “giusta distanza” emotiva con cui i suoi genitori ne seguono il decorso. Con i poteri straordinari di cui dispone, Leo arriva a indossare i panni di quell’eroe da sempre immaginato che, liberato da un corpo-zavorra e da una patologia degenerativa, si fa paladino delle sorti della popolazione. E il film, incentrato su questo cardine narrativo, tanto azzardato in sede di sceneggiatura quanto solido nella sua traduzione in immagini, addossa su di sé, rilasciandoli allo spettatore, i desideri di un adolescente e la forza liberatoria della fantasia, gli intrighi “neri” di derivazione letteraria e un coinvolgente profumo di famiglia che non viene mai meno.

Il segreto di Jim Sheridan
Jim Sheridan, filmmaker irlandese pluripremiato per Il mio piede sinistro e Nel nome del padre, si torna sul grande schermo con Il segreto (The Secret Scripture, Irlanda, 2016), portato alla luce da un cast che vanta la presenza di Vanessa Redgrave, Rooney Mara, Eric Bana, Theo James, insieme agli irlandesi Aidan Turner, Jack Reynor e Tom Vaughan-Lawlor.
La trama è dedicata alla centenaria Roseanne McNulty (Vanessa Redgrave), rinchiusa nell’ospedale psichiatrico irlandese Roscommon, sin dalla fine della Seconda guerra mondiale. La donna molto bella in gioventù (interpretata da Rooney Mara), ormai aspetta la fine dei suoi giorni, sedata e in solitudine, sino a quando le politiche governative decretando la chiusura dell’istituto, spingono il Dr. William Gene (Eric Bana) a ricostruire la storia clinica di Roseanne e risalire al motivo della sua degenza. In palese difficoltà e mettendo da parte la professionalità, sarà William a scoprire, nascosto sotto le assi del pavimento, il libro di memorie scritto dalla donna e il segreto che cela.
Tratto dall’omonimo best seller di Sebastian Barry, vincitore del prestigioso James Tait Black Memorial Prize, il Premio Libro dell’Anno ai Costa Award e il Premio Romanzo dell’Anno e Choice Award agli Irish Book Award, l’adattamento cinematografico di Johnny Ferguson (Gangster No. 1), porta sul grande schermo la misteriosa e tragica storia della centenaria paziente, svelata dal suo psichiatra, insieme a un amore grande quanto le ingiustizie affrontate con coraggio dalla donna in gioventù.

Programmazione Cinema Italia dal 27-03 al 02-04

Questione di karma di  E. Falcone
Giacomo è il primogenito di una famiglia molto facoltosa. Quand’era bambino il padre ha commesso suicidio, lasciando un vuoto che il figlio ha cercato di colmare con studi approfonditi e un’attrazione verso l’esoterismo. Quando un guru gli comunica che il padre si è reincarnato in un certo Mario Pitagora, Giacomo, senza porsi troppe domande, va alla ricerca dell’uomo che dovrà dare un senso e una direzione alla sua vita. Ma Mario è tutto fuorché un padre modello: un imbroglione da quattro soldi pieno di debiti e alienato da moglie e figli.
Dopo il successo del suo lungometraggio di esordio alla regia, Se Dio vuole, Edoardo Falcone torna a proporre una coppia di uomini apparentemente incompatibili e in realtà complementari.
Quel che è interessante, nel caso di Questione di karma, è che il crinale che divide i due è qui costituito dal denaro, terzo protagonista e motore immobile non solo della trama del film, ma della nostra contemporaneità: Giacomo ne ha moltissimo e non sa cosa farsene, Mario cerca continuamente di procurarselo ma non riesce a trattenerlo. Entrambi sono agìti da forze economiche, l’uno perché il lusso in cui è cresciuto, e di cui è beneficiario ma non artefice, gli ha impedito di assumere la guida della propria vita, l’altro perché i miraggi di guadagno facile lo lasciano sprovvisto dei mezzi concreti per occuparsi di sé e della sua famiglia.
Sotto le mentite spoglie della commedia classica in cui uno dei protagonisti cerca di truffare l’altro, in realtà (e forse anche oltre le intenzioni del regista) Questione di karma racconta il modo in cui il denaro ha polarizzato e depotenziato il maschile nel mondo di oggi, dividendo gli uomini fra quelli che cercano di prescinderne, inventandosi una spiritualità “Occidentali’s karma”, e quelli che ne sono schiavi, condannandosi ad una perpetua rincorsa. Non è un caso che l’unico personaggio che sa gestire con misura e intelligenza il possesso economico (e sa generarlo) sia la sorella di Giacomo, Ginevra, che sfugge allo stereotipo della donna in carriera fredda e arrivista per rivelarsi ruolo atavicamente femminile: la levatrice.
La tartaruga rossa di  Michael Dudok de Wit
1 candidatura ai Premi Oscar, Il film è stato premiato al Festival di Cannes e 1 candidatura ai Cesar.
Scampato a una tempesta tropicale e spiaggiato su un’isola deserta, un uomo si organizza per la sopravvivenza. Sotto lo sguardo curioso di granchi insabbiati esplora l’isola alla ricerca di qualcuno e di qualcosa. Qualcosa che gli permetta di rimettersi in mare. Favorito dalla vegetazione rigogliosa costruisce una zattera, una, due, tre volte. Ma i suoi molteplici tentativi sono costantemente impediti da una forza sotto marina e misteriosa che lo rovescia in mare. A sabotarlo è un’enorme tartaruga rossa contro cui sfoga la frustrazione della solitudine e da cui riceve consolazione alla solitudine.
La tartaruga rossa debutta con una tempesta in alto mare. Onde gigantesche frangono con furore lo schermo. Un naufrago è al cuore di quel movimento poderoso. Tra l’uomo e la natura si scatena una guerra ineguale. Il motivo è dato ma il sontuoso film d’animazione di Michaël Dudok de Wit si prende tutto il tempo per rovesciarlo nel suo contrario: un’emozionante storia di riconciliazione e di fusione amorosa. Perché quella che dispiega La tartaruga rossa è una forza misteriosa, qualche volta accogliente e qualche altra riluttante, qualche volta impassibile, qualche altra instabile.
Non siamo davanti all’ennesima storia esotica in cui la natura è mera riserva di accessori a disposizione dell’ingegnosità dell’uomo. Al principio l’uomo fa l’uomo e crede alla chimera di una conquista. Si accanisce, costruisce una zattera di fortuna ma il mare non lo lascia partire. Dieci, cento volte prova a prendere il largo, altrettante è affondato da una presenza enigmatica e invisibile. Ma l’ultimo tentativo gli rivela l’apparenza del suo avversario e la consapevolezza di essere (una) parte del tutto. Frustrati nelle attese e nelle abitudini di spettatori, torniamo a riva, esploriamo col protagonista i luoghi, sperimentiamo la dolcezza dei frutti e la furia brutale delle piogge tropicali, precipitando nel fondo di un crepaccio e rialzandoci perché film e vita possano continuare. Nel modo della natura. Natura con cui il regista stabilisce un legame carnale. Spettatore e protagonista aspettando sulla riva che il tempo scorra, volgendo il punto di vista e scoprendo essenziale quello che credevano ornamentale: i flussi e riflussi della corrente marina, il ritmo dei giorni, il mutare delle stagioni. L’uomo non colonizza quel territorio edenico e selvaggio, niente capanna come avrebbe fatto Robinson Crusoe. Sull’isola tutto resta inviolato, l’uomo è solo di passaggio, una parentesi breve dinanzi all’età dell’universo.
Animato a mano con acquerello e carboncino, La tartaruga rossa respira con la natura e parla la sua lingua. Senza dialoghi, questo racconto contemplativo si esprime attraverso la luce cangiante, il fragore di un temporale, lo schianto di un tuono, lo scroscio di una corrente di acqua dolce, il crepitio del fuoco, l’infrangersi delle onde, il fruscio delle foglie. Il supplemento di animismo giapponese tradisce l’influenza dello Studio Ghibli, l’afflato e la partecipazione di Isao Takahata e Hayao Miyazaki, sedotti dai lavori dell’autore olandese (The Monk and the Fish, Father and Daughter), percorsi da una malinconia tenace che dice della fuga del tempo, degli anni che passano sul bordo del fiume o su un’isola in mezzo al mare.
La tartaruga rossa è un’opera semplice e metaforica che disegna la vita attraverso le sue tappe (ostacoli, scoperte, solitudine, amore, genitorialità, vecchiaia, morte) ed esprime un rispetto profondo per la natura e la natura umana, veicolando un sentimento di pace e ammirazione davanti al suo mistero. Rivelazione sospesa tra terra e mare, tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, La tartaruga rossa è drammatizzato con la sola forza del disegno, dei colori, dei movimenti, della musica che interpreta e amplifica la purezza delle linee.
Tra oriente e occidente si realizza il sogno di un disegnatore solitario che si spinge per la prima volta al di là dei limiti del formato corto, confermando i suoi racconti lineari su cui dispone motivi circolari, l’infinito ripetersi del tempo. Luogo di una vita a due e poi a tre, un bambino nasce da quell’unione, l’isola ospita l’avventura umana eludendo il pamphlet ecologista e sottolineando l’incapacità dell’uomo a vivere da solo. Che si tratti di un’allucinazione del protagonista o della volontà della tartaruga, la metamorfosi dell’animale rinvia al bisogno della vita in comunità, all’esigenza di istituire un sistema sociale, anche elementare come quello della famiglia. L’autore tacita la parola, concentrandosi sul linguaggio dell’azione e del corpo, preponendo i nostri complessi istinti primari. Gli stessi che spingono una tartaruga che nasce sulla spiaggia a dirigersi verso il mare.
Più dalle parti di Rousseau che di DefoeLa tartaruga rossa è poesia meditativa accomodata tra la foresta magica della Principessa Mononoke e l’oceano di Ponyo. Da qualche parte, lungo i tropici del capolavoro.
 
Il diritto di contare di  T. Melfi
Nella Virginia segregazionista degli anni Sessanta, la legge non permette ai neri di vivere insieme ai bianchi. Uffici, toilette, mense, sale d’attesa, bus sono rigorosamente separati. Da una parte ci sono i bianchi, dall’altra ci sono i neri. La NASA, a Langley, non fa eccezione. I neri hanno i loro bagni, relegati in un’aerea dell’edificio lontano da tutto, bevono il loro caffè, sono considerati una forza lavoro flessibile di cui disporre a piacimento e sono disprezzati più o meno sottilmente. Reclutate dalla prestigiosa istituzione, Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson sono la brillante variabile che permette alla NASA di inviare un uomo in orbita e poi sulla Luna. Matematica, supervisore (senza esserlo ufficialmente) di un team di ‘calcolatrici’ afroamericane e aspirante ingegnere, si battono contro le discriminazioni (sono donne e sono nere), imponendosi poco a poco sull’arroganza di colleghi e superiori. Confinate nell’ala ovest dell’edificio, finiscono per abbattere le barriere razziali con grazia e competenza.
La qualità più grande del film di Theodore Melfi è quella di sfogliare una pagina sconosciuta della NASA. Pagina ‘bianca’ coniugata fino ad oggi al maschile. Se la storia, il contributo delle scienziate afroamericane alla conquista dello spazio, è una novità, la maniera di raccontarla è convenzionale ma non per questo meno appassionante.
Il diritto di contare mette in scena efficacemente il razzismo e il sessismo ordinario dei bianchi, concentrandosi sui drammi silenziosi che muovono la Storia in avanti. Suscettibile di incontrare il favore di un largo pubblico, Melfi sa bene quando spingere l’emotività dislocando lo sguardo sul romance di Katherine e James, Il diritto di contare segue la storia dell’esplorazione spaziale americana attraverso lo sguardo di tre eroine intelligenti e ostinate che hanno cambiato alla loro maniera il mondo. Hanno doppiato la ‘linea del colore’, inviato John Glenn in orbita e Neil Armstrong sulla Luna.
Raffello. Il principe delle arti. di  L. Viotto
Dopo il successo dei primi 3 film, Sky e Nexo Digital, in collaborazione con i Musei Vaticani, e con Magnitudo Film, presentano il quarto film d’arte per il cinema: Raffaello – il Principe delle Arti, la prima trasposizione cinematografica mai realizzata su Raffaello Sanzio (1483-1520).
Raffaello – il Principe delle Arti, prodotto da Sky, con Sky Cinema e Sky Arte, segue il percorso tracciato dai 3 precedenti progetti, con un ulteriore apporto innovativo che pone l’accento su un aspetto ancora più cinematografico: è un connubio tra digressioni artistiche, affidate a celebri storici dell’arte, raffinate ricostruzioni storiche, che garantiscono un coinvolgimento intimo ed emotivo, e le più evolute tecniche di ripresa cinematografica in UHD per un’esperienza visiva totalizzante e coinvolgente. La digressione artistica partira` da Urbino (città natale di Raffaello) passando per Firenze, per approdare a Roma e in Vaticano, al contempo apice ed epilogo del folgorante percorso artistico di Raffaello: un totale di 20 location e 70 opere, di cui oltre 30 di Raffaello, raccontate attraverso molteplici esclusive e punti di vista inediti. La digressione artistica sara` affidata al commento autorevole ed appassionato di tre celebri storici dell’arte: Antonio Paolucci, Antonio Natali e Vincenzo Farinella.
Le ricostruzioni storiche, ispirate a dipinti dell’800 che testimoniano frammenti di vita di Raffaello, rappresentano istantanee della vita dell’artista, momenti delicati ed evocativi capaci di coinvolgere emotivamente lo spettatore introducendolo nei capitoli di digressione artistica.
A dare il volto a Raffaello Sanzio nelle ricostruzioni storiche sarà l’attore e regista Flavio Parenti. La Fornarina, la donna amata dall’artista, sara` interpretata da Angela Curri, mentre Enrico Lo Verso darà il volto a Giovanni Santi e Marco Cocci a Pietro Bembo. Scenografia e costumi sono stati curati da due eccellenze del cinema italiano, rispettivamente Francesco Frigeri e Maurizio Millenotti..

Programmazione Cinema Italia dal 21-03 al 26-03

Rosso Istanbul di  F. Ozpetek
Ferzan Ozpetek traspone su grande schermo il suo romanzo autobiografico, “Rosso Istanbul”. Come nel libro, anche nel film il protagonista è un affermato regista turco che un giorno decide di tornare nella capitale turca, dov’è nato e dove ha trascorso infanzia e adolescenza. Un ritorno a casa improvviso, il suo, che gli riserverà non poche sorprese.
Dopo 8 lavori realizzati tutti in Italia, con questo film il regista torna agli esordi della sua carriera, gli anni scanditi da Il bagno turco e Harem Suare. Il cineasta mette l’accento sul tema del ritorno che – dice – “quasi sempre è legato al cambiamento”. E aggiunge: “Tutti abbiamo assistito in questi anni al cambiamento del rapporto tra Occidente e Oriente, non solo politico e sociologico ma anche emotivo che è poi l’aspetto che più mi coinvolge. Perché è cambiato, dopo tanto tempo trascorso in Italia, anche il mio rapporto con Istanbul. Con questo film, attraverso i personaggi ognuno dei quali è una parte di me, tento di ricucire quella relazione”.
Il cast è composto di attori turchi tra i quali il pubblico italiano riconoscerà Serra Yilmaz, una delle ‘muse’ del regista.
È una co-produzione italo-turca prodotta da R&C Produzioni e BKM con Rai Cinema. Produttori Tilde Corsi e Gianni Romoli.
Il lago dei cigni (bolshoi ballet)
Durante la serata è prevista un gustosa sorpresa per gli spettatori
Sotto il chiaro di luna, sulle rive di un lago misterioso, il Principe Siegfried incontra Odette, la donna-cigno sotto incantesimo. Completamente affascinato dalla sua bellezza, le giura fedeltà per sempre. Tuttavia, il principe si accorgerà troppo tardi che il destino ha un altro piano per lui… Un balletto di bellezza sublime e una musica di impareggiabile perfezione, nato proprio al Bolshoi nel 1877. Nel duplice ruolo di Odette/Odile, cioè cigno bianco e cigno nero, la prima ballerina Svetlana Zakharova trasuda vulnerabilità e astuzia attraverso una superba maestria tecnica, affiancata da un potente ed emozionante Siegfried, Denis Rodkin. Con le scene mozzafiato del corpo di ballo del Bolshoi, è il balletto classico per eccellenza.
La marcia dei pinguini: il richiamo di  L. Jacquet
Un pinguino imperatore, dopo aver covato l’uovo che conteneva suo figlio e aver poi tenuto al caldo il figlio stesso dalla nascita fino al raggiungimento di una dimensione ragguardevole, deve insegnargli a diventare adulto e avviarlo verso il viaggio in direzione del Mare Antartico dove il pulcino dovrà imparare a nuotare e a procurarsi il cibo come ogni altro membro del branco. Questo processo di iniziazione non è privo di incognite o di pericoli, dalle tempeste di neve ai crepacci ai predatori, ma papà pinguino non si ferma davanti a nulla e consegna junior al destino per cui è stato messo al mondo.
12 anni dopo il successo mondiale di La marcia dei pinguini, lo scienziato e documentarista francese Luc Jacquet torna a raccontare i più simpatici abitanti dell’Antartide attraverso un lavoro che ha richiesto mesi di osservazioni e di riprese, sopra e sotto la banchisa ghiacciata.
Il risultato è il resoconto accorato e partecipe della vita di una comunità che commuove per spirito unitario e determinazione ad affrontare insieme ogni impresa, dalle lunghe marce di migliaia di componenti alla formazione a testuggine per fare fronte ai venti gelidi del Polo.
Fin dalla prima scena La marcia dei pinguini – Il richiamo conferma l’enorme capacità pittorica di Jacquet, che non si accontenta di documentare l’esistente ma cerca di dargli un senso estetico profondo, aumentando con ralenti, primissimi piani e riprese mozzafiato il valore cinematografico della storia che racconta. Le immagini sono ben lontane dalla distanza oggettiva di certe (pur bellissime) sequenze del National Geographic perché restano impregnate della forte empatia del regista nei confronti delle creature che ritrae.
Questione di karma di  E. Falcone
Giacomo è il primogenito di una famiglia molto facoltosa. Quand’era bambino il padre ha commesso suicidio, lasciando un vuoto che il figlio ha cercato di colmare con studi approfonditi e un’attrazione verso l’esoterismo. Quando un guru gli comunica che il padre si è reincarnato in un certo Mario Pitagora, Giacomo, senza porsi troppe domande, va alla ricerca dell’uomo che dovrà dare un senso e una direzione alla sua vita. Ma Mario è tutto fuorché un padre modello: un imbroglione da quattro soldi pieno di debiti e alienato da moglie e figli.
Dopo il successo del suo lungometraggio di esordio alla regia, Se Dio vuole, Edoardo Falcone torna a proporre una coppia di uomini apparentemente incompatibili e in realtà complementari.
Quel che è interessante, nel caso di Questione di karma, è che il crinale che divide i due è qui costituito dal denaro, terzo protagonista e motore immobile non solo della trama del film, ma della nostra contemporaneità: Giacomo ne ha moltissimo e non sa cosa farsene, Mario cerca continuamente di procurarselo ma non riesce a trattenerlo. Entrambi sono agìti da forze economiche, l’uno perché il lusso in cui è cresciuto, e di cui è beneficiario ma non artefice, gli ha impedito di assumere la guida della propria vita, l’altro perché i miraggi di guadagno facile lo lasciano sprovvisto dei mezzi concreti per occuparsi di sé e della sua famiglia.
Sotto le mentite spoglie della commedia classica in cui uno dei protagonisti cerca di truffare l’altro, in realtà (e forse anche oltre le intenzioni del regista) Questione di karma racconta il modo in cui il denaro ha polarizzato e depotenziato il maschile nel mondo di oggi, dividendo gli uomini fra quelli che cercano di prescinderne, inventandosi una spiritualità “Occidentali’s karma”, e quelli che ne sono schiavi, condannandosi ad una perpetua rincorsa. Non è un caso che l’unico personaggio che sa gestire con misura e intelligenza il possesso economico (e sa generarlo) sia la sorella di Giacomo, Ginevra, che sfugge allo stereotipo della donna in carriera fredda e arrivista per rivelarsi ruolo atavicamente femminile: la levatrice.
La tartaruga rossa di  Michael Dudok de Wit
1 candidatura ai Premi Oscar, Il film è stato premiato al Festival di Cannes e 1 candidatura ai Cesar.
Scampato a una tempesta tropicale e spiaggiato su un’isola deserta, un uomo si organizza per la sopravvivenza. Sotto lo sguardo curioso di granchi insabbiati esplora l’isola alla ricerca di qualcuno e di qualcosa. Qualcosa che gli permetta di rimettersi in mare. Favorito dalla vegetazione rigogliosa costruisce una zattera, una, due, tre volte. Ma i suoi molteplici tentativi sono costantemente impediti da una forza sotto marina e misteriosa che lo rovescia in mare. A sabotarlo è un’enorme tartaruga rossa contro cui sfoga la frustrazione della solitudine e da cui riceve consolazione alla solitudine.
La tartaruga rossa debutta con una tempesta in alto mare. Onde gigantesche frangono con furore lo schermo. Un naufrago è al cuore di quel movimento poderoso. Tra l’uomo e la natura si scatena una guerra ineguale. Il motivo è dato ma il sontuoso film d’animazione di Michaël Dudok de Wit si prende tutto il tempo per rovesciarlo nel suo contrario: un’emozionante storia di riconciliazione e di fusione amorosa. Perché quella che dispiega La tartaruga rossa è una forza misteriosa, qualche volta accogliente e qualche altra riluttante, qualche volta impassibile, qualche altra instabile.
Non siamo davanti all’ennesima storia esotica in cui la natura è mera riserva di accessori a disposizione dell’ingegnosità dell’uomo. Al principio l’uomo fa l’uomo e crede alla chimera di una conquista. Si accanisce, costruisce una zattera di fortuna ma il mare non lo lascia partire. Dieci, cento volte prova a prendere il largo, altrettante è affondato da una presenza enigmatica e invisibile. Ma l’ultimo tentativo gli rivela l’apparenza del suo avversario e la consapevolezza di essere (una) parte del tutto. Frustrati nelle attese e nelle abitudini di spettatori, torniamo a riva, esploriamo col protagonista i luoghi, sperimentiamo la dolcezza dei frutti e la furia brutale delle piogge tropicali, precipitando nel fondo di un crepaccio e rialzandoci perché film e vita possano continuare. Nel modo della natura. Natura con cui il regista stabilisce un legame carnale. Spettatore e protagonista aspettando sulla riva che il tempo scorra, volgendo il punto di vista e scoprendo essenziale quello che credevano ornamentale: i flussi e riflussi della corrente marina, il ritmo dei giorni, il mutare delle stagioni. L’uomo non colonizza quel territorio edenico e selvaggio, niente capanna come avrebbe fatto Robinson Crusoe. Sull’isola tutto resta inviolato, l’uomo è solo di passaggio, una parentesi breve dinanzi all’età dell’universo.
Animato a mano con acquerello e carboncino, La tartaruga rossa respira con la natura e parla la sua lingua. Senza dialoghi, questo racconto contemplativo si esprime attraverso la luce cangiante, il fragore di un temporale, lo schianto di un tuono, lo scroscio di una corrente di acqua dolce, il crepitio del fuoco, l’infrangersi delle onde, il fruscio delle foglie. Il supplemento di animismo giapponese tradisce l’influenza dello Studio Ghibli, l’afflato e la partecipazione di Isao Takahata e Hayao Miyazaki, sedotti dai lavori dell’autore olandese (The Monk and the Fish, Father and Daughter), percorsi da una malinconia tenace che dice della fuga del tempo, degli anni che passano sul bordo del fiume o su un’isola in mezzo al mare.
La tartaruga rossa è un’opera semplice e metaforica che disegna la vita attraverso le sue tappe (ostacoli, scoperte, solitudine, amore, genitorialità, vecchiaia, morte) ed esprime un rispetto profondo per la natura e la natura umana, veicolando un sentimento di pace e ammirazione davanti al suo mistero. Rivelazione sospesa tra terra e mare, tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, La tartaruga rossa è drammatizzato con la sola forza del disegno, dei colori, dei movimenti, della musica che interpreta e amplifica la purezza delle linee.
Tra oriente e occidente si realizza il sogno di un disegnatore solitario che si spinge per la prima volta al di là dei limiti del formato corto, confermando i suoi racconti lineari su cui dispone motivi circolari, l’infinito ripetersi del tempo. Luogo di una vita a due e poi a tre, un bambino nasce da quell’unione, l’isola ospita l’avventura umana eludendo il pamphlet ecologista e sottolineando l’incapacità dell’uomo a vivere da solo. Che si tratti di un’allucinazione del protagonista o della volontà della tartaruga, la metamorfosi dell’animale rinvia al bisogno della vita in comunità, all’esigenza di istituire un sistema sociale, anche elementare come quello della famiglia. L’autore tacita la parola, concentrandosi sul linguaggio dell’azione e del corpo, preponendo i nostri complessi istinti primari. Gli stessi che spingono una tartaruga che nasce sulla spiaggia a dirigersi verso il mare.
Più dalle parti di Rousseau che di DefoeLa tartaruga rossa è poesia meditativa accomodata tra la foresta magica della Principessa Mononoke e l’oceano di Ponyo. Da qualche parte, lungo i tropici del capolavoro.