TUTTO QUELLO CHE VUOI (rassegna stelle d’estate)

TUTTO QUELLO CHE VUOI
di F. Bruni
Candidato ai nastri d’argento 2017 per: miglior film, sceneggiatura, produttore.
Alessandro ha 22 anni, ed è un trasteverino ignorante e turbolento; Giorgio di anni ne ha 85 ed è un poeta dimenticato. I due vivono a pochi passi l’uno dall’altro, ma non si sono mai incontrati, finché Alessandro accetta suo malgrado un lavoro come accompagnatore di quell’elegante signore in passeggiate pomeridiane. Col passare dei giorni dalla mente un po’ smarrita dell’anziano poeta e dai suoi versi, affiora progressivamente un ricordo del suo passato più lontano: tracce per una vera e propria caccia al tesoro. Seguendole, Alessandro si avventurerà insieme a Giorgio in un viaggio alla scoperta di quella ricchezza nascosta e di quella celata nel suo stesso cuore.
giovedì 13 luglio:
ore 21.15 – TUTTO QUELLO CHE VUOI di F. Bruni
Candidato ai nastri d’argento 2017 per: miglior film, sceneggiatura, produttore.
venerdì 14 luglio:
ore 21.15 – TUTTO QUELLO CHE VUOI di F. Bruni
Candidato ai nastri d’argento 2017 per: miglior film, sceneggiatura, produttore. 

(L’organizzazione ricorda che in presenza di pochi spettatori la rassegna potrebbe essere sospesa; controlla sempre il sito internet o la pagina facebook).

LA BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE (stelle d’estate)

LA BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE
di M. Gibson
Oscar 2017 per: miglior montaggio e miglior missaggio sonoro. Era candidato anche per: miglior film, regia, attore protagonista (andrew garfield) e montaggio sonoro.
Il giovane Desmond Doss, cresciuto a Lynchburg, Virginia, è stato accudito secondo la fede della chiesa cristiana avventista del settimo giorno e, da quando non ha per poco ucciso accidentalmente suo fratello minore Hal mentre lottavano per gioco, ha una rinforzata credenza nel comandamento sul non uccidere. All’età di 23 anni Desmond soccorre un uomo rimasto ferito mentre riparava la propria vettura portandolo all’ospedale, dove incontra Dorothy Schutte, un’infermiera. Tra i due nasce del tenero e Desmond le confida il desiderio di intraprendere una carriera medica.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale Desmond ha intenzione di arruolarsi per aiutare le persone in difficoltà, ma, essendo un obiettore di coscienza, vuole servire l’esercito come soccorritore militare. Suo padre Tom, turbato veterano della prima guerra mondiale, è profondamente irritato dalla decisione del figlio, che, prima di partire per Fort Jackson, nella Carolina del Sud, chiede la mano a Dorothy e lei accetta di sposarlo.
Doss, posto sotto l’addestramento del sergente Howell, eccelle nelle prestazioni fisiche, ma diventa un emarginato tra i suoi commilitoni quando rifiuta di prendere in mano un fucile e di partecipare alle esercitazioni il sabato. Howell e il capitano Glover tentano di espellere Doss per motivi psichiatrici, ma il loro superiore rifiuta. Il sergente si mette a tormentare Doss sottoponendolo a lavori estenuanti, sperando così di scoraggiarlo e farlo dimettere di sua spontanea volontà. Una notte Doss viene barbaramente pestato dai suoi commilitoni, ma si rifiuta di identificare i suoi aggressori e continua l’addestramento.
Completata la formazione di base, Doss e i suoi commilitoni vengono rilasciati in congedo, e lui intende sfruttare la libertà per sposarsi con Dorothy. Il suo rifiuto di portare un’arma da fuoco, però, porta a un arresto per insubordinazione. Dorothy visita Doss in prigione e cerca di convincerlo a dichiararsi colpevole in modo che possa essere rilasciato senza accuse, ma Doss si rifiuta di abiurare alle proprie credenze. Al suo processo Doss si dichiara non colpevole, ma, prima che il figlio venga condannato, Tom interviene entrando in tribunale con una lettera di un ex comandante, che afferma che il pacifismo di suo figlio è protetto da una legge del Congresso. Le accuse contro Doss vengono così respinte, e lui e Dorothy riescono a sposarsi.
Doss e il suo plotone vengono assegnati alla settantasettesima divisione di fanteria e condotti alla battaglia di Okinawa per aiutare la novantaseiesima divisione, incaricata di sorvegliare la scarpata di Maeda, detta “Hacksaw Ridge”. Nella lotta iniziale, durante la quale entrambe le parti sostengono pesanti perdite, Doss salva con successo diversi soldati, compresi quelli con lesioni gravi. Gli americani si accampano per la notte e Doss si ripara in una trincea con Smitty, un commilitone che era stato il primo a chiamarlo codardo. Durante la cena Doss rivela che la sua avversione verso le armi nacque dopo aver puntato contro suo padre la pistola che questi minacciava di usare su sua madre durante un episodio psicotico, e Smitty si scusa con lui per aver dubitato del suo coraggio.
Il mattino seguente i giapponesi lanciano un contrattacco massiccio che spinge gli americani sul bordo della scarpata. Smitty viene ucciso e molti soldati, tra cui Howell e molti dei commilitoni di Doss, rimangono feriti sul campo di battaglia. Doss sente le grida di agonia dei soldati morenti e decide di tuffarsi di nuovo nella carneficina. Schivando i colpi del nemico, Doss conduce i soldati feriti al bordo della scarpata e li cala giù con una corda. Ogni volta che ha tratto in salvo un soldato, Doss si mette alla ricerca di un altro per salvarlo. Le decine di feriti recuperati da Doss, creduti morti, sorprendono l’insediamento americano sotto la scarpata. Alle prime luci del giorno Doss trova Howell e i due, sotto il fuoco nemico, uniscono gli sforzi per fuggire da Hacksaw Ridge.
Il capitano Glover si congratula con Doss dicendogli che gli uomini sono ispirati dai suoi sforzi miracolosi e non hanno intenzione di lanciare il prossimo attacco senza di lui. Nonostante sia sabato, giorno di festa nella sua religione, Doss si unisce ai commilitoni dopo aver terminato le sue preghiere. Con i rinforzi degli americani le sorti della battaglia mutano, e i giapponesi fingono la resa, per poi lanciare un ultimo attacco suicida, durante il quale Doss riesce a salvare diversi commilitoni rigettando lontano le granate nemiche e rimanendo così ferito. Ciò nonostante, la battaglia è ormai vinta. Doss viene calato giù dalla scarpata su una barella sospesa, stringendo la piccola Bibbia che gli ha dato Dorothy.
Per avere salvato 75 soldati a Hacksaw Ridge, Doss riceve la medaglia d’onore dal presidente Harry S. Truman. In seguito il soldato sposa Dorothy, con la quale rimane fino alla sua morte, giunta nel 1991, mentre Doss spira il 23 marzo 2006 all’età di 87 anni.
 
giovedì 06 luglio:
ore 21.15 – LA BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE di M. Gibson
Oscar 2017 per: miglior montaggio e miglior missaggio sonoro. Era candidato anche per: miglior film, regia, attore protagonista (andrew garfield) e montaggio sonoro.
venerdì 07 luglio:
ore 21.15 – LA BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE di M. Gibson
Oscar 2017 per: miglior montaggio e miglior missaggio sonoro. Era candidato anche per: miglior film, regia, attore protagonista (andrew garfield) e montaggio sonoro.
 

(L’organizzazione ricorda che in presenza di pochi spettatori la rassegna potrebbe essere sospesa; controlla sempre il sito internet o la pagina facebook).

Cineforum “STELLE D’ESTATE”.

Dal 06 luglio cineforum estivo “STELLE D’ESTATE”:

giovedì 06 luglio:

ore 21.15 – LA BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE di M. Gibson

Oscar 2017 per: miglior montaggio e miglior missaggio sonoro. Era candidato anche per: miglior film, regia, attore protagonista (andrew garfield) e montaggio sonoro.

venerdì 07 luglio:

ore 21.15 – LA BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE di M. Gibson

Oscar 2017 per: miglior montaggio e miglior missaggio sonoro. Era candidato anche per: miglior film, regia, attore protagonista (andrew garfield) e montaggio sonoro.


giovedì 13 luglio:

ore 21.15 – TUTTO QUELLO CHE VUOI di F. Bruni

Candidato ai nastri d’argento 2017 per: miglior film, sceneggiatura, produttore.

venerdì 14 luglio:

ore 21.15 – TUTTO QUELLO CHE VUOI di F. Bruni

Candidato ai nastri d’argento 2017 per: miglior film, sceneggiatura, produttore.

giovedì 20 luglio:

ore 21.15 – ADORABILE NEMICA di M. Pellington

In concorso al Sundance Film Festival 2017.

venerdì 21 luglio:

ore 21.15 – ADORABILE NEMICA di M. Pellington

In concorso al Sundance Film Festival 2017.

 giovedì 27 luglio:

ore 21.15 – SOLE CUORE AMORE di D. Vicari

Nastro d’argento: Candidatura per la Migliore attrice protagonista a Isabella Ragonese, Candidatura per il Migliore sonoro in presa diretta a Remo Ugolinelli e Alessandro Palmerini, Candidatura per la Migliore colonna sonora a Stefano Di Battista.

2017Globo d’oro: Candidatura a Miglior musica a Stefano Di Battista.

2017 – Bari International Film Festival: Premio Alberto Sordi – Miglior attore non protagonista a Francesco Acquaroli.

venerdì 28 luglio:

ore 21.15 – SOLE CUORE AMORE di D. Vicari

Nastro d’argento: Candidatura per la Migliore attrice protagonista a Isabella Ragonese, Candidatura per il Migliore sonoro in presa diretta a Remo Ugolinelli e Alessandro Palmerini, Candidatura per la Migliore colonna sonora a Stefano Di Battista.

2017Globo d’oro: Candidatura a Miglior musica a Stefano Di Battista.

2017 – Bari International Film Festival: Premio Alberto Sordi – Miglior attore non protagonista a Francesco Acquaroli.

 giovedì 03 agosto:

ore 21.15 – FORTUNATA di S. Castellitto

2017Festival di Cannes: Un Certain Regard – Migliore interpretazione a Jasmine Trinca

2017Nastro d’argento: Migliore sonoro in presa diretta ad Alessandro Rolla, Candidatura per il Miglior film a Sergio Castellitto, Candidatura per la Migliore sceneggiatura a Margaret Mazzantini, Candidatura per il Miglior produttore a Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori e Viola Prestieri, Candidatura per la Migliore attrice protagonista a Jasmine Trinca, Candidatura per il Miglior attore non protagonista ad Alessandro Borghi, Candidatura per il Miglior attore non protagonistaa Edoardo Pesce.

venerdì 04 agosto:

ore 21.15 – FORTUNATA di S. Castellitto

2017Festival di Cannes: Un Certain Regard – Migliore interpretazione a Jasmine Trinca

2017Nastro d’argento: Migliore sonoro in presa diretta ad Alessandro Rolla, Candidatura per il Miglior film a Sergio Castellitto, Candidatura per la Migliore sceneggiatura a Margaret Mazzantini, Candidatura per il Miglior produttore a Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori e Viola Prestieri, Candidatura per la Migliore attrice protagonista a Jasmine Trinca, Candidatura per il Miglior attore non protagonista ad Alessandro Borghi, Candidatura per il Miglior attore non protagonistaa Edoardo Pesce.

Programmazione Cinema Italia dal 27-06 al 02-07

Programmazione Cinema Italia dal 27-06 al 02-07

Free to run di P. Morath
Evento special Festival dei Popoli 2017
Il giorno 27 giugno saranno presenti in sala:
Silvia Sommaggio – maratoneta olimpica
Roberto Rubens Noviello – maratoneta ed autore del libro La corsa verso il mare

 

Pierre Morath ha realizzato questo interessante documentario a partire dal proprio interesse e passione per la corsa a cui si è aggiunta una ricerca, in qualità di storico, per un libro scritto insieme ad un sociologo. Ne è nato un film estremamente documentato che tutti coloro che sono interessati a questa disciplina sportiva e, in particolare, i più giovani dovrebbero vedere. Perché oggi è più che mai sviluppata la tendenza a ritenere che ciò che è sia sempre stato sin dall’inizio, senza cercare di riflettere su quante lotte e sacrifici siano costate le progressive conquiste.
Questo aspetto è particolarmente sviluppato da Morath rendendo così il film appetibile anche da chi cammina lentamente ma ha interesse per i mutamenti sociali.
Sembrano passati secoli (e invece eravamo nel 1967) da quando Kathrine Switzer si iscriveva alla maratona di Boston come partecipante ufficialmente registrato e veniva rincorsa e strattonata da Jack Semple, direttore di gara, nel tentativo di strapparle il pettorale perché non voleva una donna nella sua manifestazione.
Attraverso personaggi fondamentali come lo svizzero Noel Tamini, fondatore della rivista Spiridon e difensore della pratica podistica aperta a tutti, per giungere a Fred Lebow che ha avuto modo di assistere alla crescita esponenziale di partecipanti alla maratona di New York da lui ideata, Morath fa la storia di questa pratica sportiva. Ma non si tratta solo di illustrarne l’evoluzione perché il regista non intende farne un’apologia. Ci mostra anche la fragilità delle conquiste.
Da un lato con le immagini inquietanti di un’atleta che percorre in uno stato di allucinata spossatezza gli ultimi metri della maratona con il rischio di far girare al contrario l’orologio della presenza femminile qualora non si fosse ripresa in tempi rapidi da quella condizione fisica. Dall’altro con l’espansione dell’attività commerciale ruotante attorno al podismo che ha rischiato e rischia di vanificare lo spirito originario di chi ama la corsa.
È un documentario lucido quello di Morath tanto da indurlo ad affermare: “Quando una rivoluzione prende piede o comincia ad avere successo quelli in prima linea prendono posto indietro a vantaggio di quelli che possono prendere quel successo e farne un business. Ecco perché gli Stati Uniti hanno un ruolo centrale nel film. Gli Americani personificano l’ultra liberalismo di vedute aperte fatto dello sfruttamento commerciale di cose belle e pure più di qualsiasi altro popolo. E’ nel loro DNA.” Questo si chiama parlar chiaro.

 

 Nocedicocco – il piccolo drago di N. West
E’ la storia di un draghetto, appunto, Noce Di Cocco, il cui compito è fare la guardia all’erba del fuoco, un’erba importantissima per il suo clan che, grazie ad essa, è diventato un popolo di draghi sputafuoco. Quando Noce Di Cocco, per salvare un agnellino che sta per finire nelle fauci di altri draghi perde di vista l’erba, si scatena un incendio e succede un disastro. Riuscirà il piccolo drago a risolvere il pasticcio?

 

Aspettando il Re di T. Tykwer con Tom Hanks
Fuori concorso al Tribeca Film Festival 2017.
Tom Hanks si toglie i panni del pilota che fu in Sully, per indossare quelli di un impiegato, Alan Clay, di una nota società informatica, disilluso negli affetti e sull’orlo della bancarotta.
Mandato dalla società in cui lavora in Arabia Saudita per ottenere l’appalto di fornitura dei servizi informatici per una città avveniristica in costruzione nel mezzo del deserto, Clay scoprirà ben presto che la sua missione è più difficile del previsto. Accampato in una tenda insieme ai suoi colleghi sistemisti, attenderà invano l’arrivo di un Godot, il re della città, che sembra ritardare giorno dopo giorno la sua visita, rendendo l’attesa una sorta di continuo rimando alla presentazione dei prodotti di cui la ditta si fa vanto, ovvero, sistemi per videoconferenze basati su ologrammi.
Clay non si gode l’attesa come una vacanza, tutt’altro. Le sue giornate si svolgono in un continuo bascular tra il cantiere, la tenda e l’hotel a Gedda, ovvero tra l’isolamento e la relazione sociale con quella che dovrebbe essere la sua famiglia, la figlia lontana all’università e purtroppo anche con la convivenza con un’escrescenza alla spalla che cresce dentro di lui, come un alien che lo corrode dentro. Per fortuna supportato dall’amicizia con lo stralunato e simpatico Youssef, l’autista che ogni giorno lo accompagna all’hotel, Alan conoscerà l’amore con una mite dottoressa, ricostruendo la sua esistenza in quel bruciato Medio-Oriente che assurgerà a rediviva fenice.
L’occasione di A Hologram for the king tradotto abbastanza infelicemente in italiano come Aspettando il re è la riflessione su un bilancio della vita di un quarantacinquenne, Alan Clay appunto, sfruttando il pretesto abbastanza metaforico di un deserto dei tartari ove l’attesa è evidente propedeutica catarsi necessaria alla personale riabilitazione di sé.
Tra la sabbia che pervade tutto, isolando il protagonista dietro le mura fragili di un presente cui cerca di fuggire e una vita notturna mondana che vuol possedere in quel di Gedda tra discoteche e una donna che gli ronza attorno, affogando nell’alcool la sua frustrazione, Alan cercherà di trovare un senso alla sua vita, alla sua time line irrimediabilmente compromessa.
Strana commedia, quella diretta, da Tom Tykwer, basata sul romanzo di Dave Eggers Aspettando il re. Si potrebbe definire drammatica, simbolica: si pensi all’inizio ex abrupto in cui moglie, casa, famiglia svaniscono in esplosioni fumose e rossastre come sogni di vino, in cui Alan si trova in cima a una montagna russa scivolando pericolosamente giù e crollare, tutti segni di una minaccia, di un abisso dal quale il protagonista, dovrà cercare di risalire.
Con belle riprese delle moschee e della cultura araba, Aspettando il re è un film sfuggente, velatamente metaforico che non nasconde l’ironia grazie ai due protagonisti principali, Tom Hanks e Alexander Black in primis e al tempo stesso palesando un approccio drammatico alla “malattia”. Malattia che si fa occasione di rinascita per coltivare un amore con una dottoressa locale, la responsabile dell’operazione cui si sottoporrà il nostro protagonista.
In un ambiente dal duplice volto, ricco e opulento quanto umile e poetico, Alan ritroverà una compagna proprio nell’acqua, ossimoro in quel mondo, unico mezzo in grado di spazzare definitivamente via la polvere accumulatasi a strati sul suo cuore ridandogli forza, coraggio e soprattutto, restituendogli la sua dignità perduta di uomo.

Programmazione Cinema Italia dal 19-06 al 25-06

Programmazione Cinema Italia dal 19-06 al 25-06

Michelangelo. Amore e Morte. di D. Bickerstaff 

Uomo dall’energia straripante, ossessionato dall’arte, a tratti selvatico, complesso, fragile, assolutamente geniale. Michelangelo Buonarroti (1475-1564), figlio del podestà Ludovico di Leonardo Buonarroti Simoni, fu uno dei giganti che attraversarono la magnifica stagione del Rinascimento italiano. La sua esistenza tormentata e burrascosa e il suo eccezionale talento ne fecero uno degli artisti più amati di tutti i tempi, autore di capolavori come il David, la Pietà, Mosè, la Cappella Medicea, la volta della Sistina e il Giudizio Universale, la Pietà Rondanini.

Scultore, pittore, architetto e poeta, l’artista nato a Caprese nel 1475 sarà il protagonista dell’ultimo docu-film, con eccezionali immagini in alta definizione, della stagione 2017 della Grande Arte al Cinema. Michelangelo. Amore e morte propone infatti un viaggio cinematografico d’eccezione attraverso le opere, i musei e i luoghi fondamentali della vita del Buonarroti: Firenze naturalmente, e poi Roma e la Città del Vaticano.

Diretto da David Bickerstaff e prodotto da Phil Grabsky il docu-film si snoda attorno a una delle figure più carismatiche ed enigmatiche del Rinascimento, esplorandone i rapporti con i contemporanei e l’eredità artistica che ha lasciato dietro di sé. Ripercorrendo la biografia di Vasari, si comincia con l’apprendistato nella bottega del Ghirlandaio e l’incontro con Lorenzo il Magnifico nel Giardino di San Marco, una sorta Accademia ante litteram dove i giovani talenti studiavano le opere e le tecniche artistiche, copiando giorno dopo giorno le collezioni di arte antica dei Medici; seguono lo studio attento del corpo umano, di cui ci racconta il professore di anatomia Peter Abrahams, e la relazione complessa con i vari, eccezionali artisti fiorentini dell’epoca. Il film invita gli spettatori ad esaminare intimamente le opere e il processo artistico di Michelangelo: dalle cave di Carrara da cui ha attinto i suoi marmi, come ci racconta Francesca Nicoli dei Laboratori Artistici Nicoli, sino ai segreti dei lavori di più recente attribuzione.

Il percorso si snoda infatti dalle opere più antiche, come i rilievi marmorei della Madonna della Scala e della Centauromachia conservati a Casa Buonarroti, cui ci introduce il direttore Alessandro Cecchi, per passare poi ad analizzare il Crocifisso di Santo Spirito in legno policromo, mostrando la cura con cui l’artista, ancora giovanissimo, riesce a descrivere l’anatomia del Cristo. Il documentario ci guida quindi alla scoperta dei grandi capolavori pittorici, dal Tondo Doni degli Uffizi alla Deposizione di Cristo nel sepolcro della National Gallery, dalla volta della Cappella Sistina al Giudizio Universale, e approfondisce il delicato e appassionato tema del non finito che caratterizza molte delle opere dell’artista

Il sentiero della felicità di P. Di Florio

In occasione della Giornata Mondiale dello Yoga. 

La vita e il messaggio dello swami Paramahansa Yogananda (1893 – 1952), portavoce della tradizione yogica in occidente e autore del best seller Autobiografia di uno Yogi. L’infanzia nel continente indiano, la morte della madre, il decennio di apprendimento nell’eremo del maestro Sri Yukteswar, l’approdo a Boston e la sua prima relazione ‘La scienza della religione’, il trasferimento a Los Angeles e la fondazione del Self-Realization Fellowship, le conferenze itineranti e il successo, le calunnie della stampa statunitense, il ritorno in India e il contatto con Gandhi, la morte del suo guru, l’ultimo addio al termine di un discorso ufficiale.

«Non è facile fare un film su un santo», mettono le mani avanti le registe Paola di Florio e Lisa Leeman. Ancor più difficile, se di un santo si parla, o meglio di un santone indiano dagli occhi vitrei e il volto femmineo, astenersi dall’agiografia. Realizzato su commissione della SRF, il documentario prodotto da Peter Rader funziona a stento come opera divulgativa. A poco servono i materiali di repertorio, le dichiarazioni dei professori di Harvard, le lodi di adepti illustri come Ravi Shankar e George Harrison, iniziato dallo stesso padrino della world music all’opera di Yogananda (questi, così come il suo mentore Yukteswar, furono significativamente immortalati entrambi nella copertina di Sgt. Pepper).

A non pagare è la qualità della messa in scena: se risulta discutibile la scelta di affidare la voce del guru all’interpretazione della star di Bollywood Anupam Kher, non meno fittizie riescono le ricostruzioni di ambienti e personaggi, commentate da una regia spesso illustrativa. Ne risente il valore documentale del progetto, che risulta posticcio anche in ragione dell’esiguo apporto filologico. La coppia di registe, entrambe praticanti di Hatha Yoga, chiede allo spettatore di accettare senza il beneficio del dubbio credenze parascientifiche come quelle secondo cui il Nostro sarebbe stato in grado di atterrare sei uomini con l’energia concentrata nell’addome, arrestare le pulsazioni del muscolo cardiaco, trasformare le cellule cerebrali per mezzo del solo sguardo. Il rischio è che invece della storia si racconti la leggenda o il mito, ed è un fatto che se si accusasse una simile narrazione di essere favolistica il film non avrebbe gli strumenti per difendersi.
Una fiaba tramandata da Yogananda col nome di ‘Il santo e il serpente’ racconta di un villaggio minacciato dal velenoso animale, solito uccidere i più piccoli con le sue fauci mortali. Disperati, gli abitanti del villaggio decidono di rivolgersi al santo per fermare la carneficina. In virtù del suo potere, il santo richiama il serpente fuori dal nido e gli comanda di non mordere i suoi amici. Ma quando al termine del pellegrinaggio di un anno il santo ritorna presso la roccia dove vive l’animale, questi giace a terra moribondo. Da quando hanno scoperto che sono innocuo, rantola il serpente, i bambini del villaggio mi hanno ferito ogni volta che ho abbandonato la tana in cerca di cibo. Sciocco, lo rimprovera il santo, ti ho detto di non mordere, ma perché non hai sibilato? Così Il sentiero della felicità, biopic senza mordente in cui l’esistenza di un mistico indiano e precettore spirituale diventa un’esperienza canonica o, peggio, già canonizzata.

Nocedicocco – il piccolo drago di N. West 

E’ la storia di un draghetto, appunto, Noce Di Cocco, il cui compito è fare la guardia all’erba del fuoco, un’erba importantissima per il suo clan che, grazie ad essa, è diventato un popolo di draghi sputafuoco. Quando Noce Di Cocco, per salvare un agnellino che sta per finire nelle fauci di altri draghi perde di vista l’erba, si scatena un incendio e succede un disastro. Riuscirà il piccolo drago a risolvere il pasticcio? 

Aspettando il Re di T. Tykwer con Tom Hanks

Fuori concorso al Tribeca Film Festival 2017. 

Tom Hanks si toglie i panni del pilota che fu in Sully, per indossare quelli di un impiegato, Alan Clay, di una nota società informatica, disilluso negli affetti e sull’orlo della bancarotta.
Mandato dalla società in cui lavora in Arabia Saudita per ottenere l’appalto di fornitura dei servizi informatici per una città avveniristica in costruzione nel mezzo del deserto, Clay scoprirà ben presto che la sua missione è più difficile del previsto. Accampato in una tenda insieme ai suoi colleghi sistemisti, attenderà invano l’arrivo di un Godot, il re della città, che sembra ritardare giorno dopo giorno la sua visita, rendendo l’attesa una sorta di continuo rimando alla presentazione dei prodotti di cui la ditta si fa vanto, ovvero, sistemi per videoconferenze basati su ologrammi.

Clay non si gode l’attesa come una vacanza, tutt’altro. Le sue giornate si svolgono in un continuo bascular tra il cantiere, la tenda e l’hotel a Gedda, ovvero tra l’isolamento e la relazione sociale con quella che dovrebbe essere la sua famiglia, la figlia lontana all’università e purtroppo anche con la convivenza con un’escrescenza alla spalla che cresce dentro di lui, come un alien che lo corrode dentro. Per fortuna supportato dall’amicizia con lo stralunato e simpatico Youssef, l’autista che ogni giorno lo accompagna all’hotel, Alan conoscerà l’amore con una mite dottoressa, ricostruendo la sua esistenza in quel bruciato Medio-Oriente che assurgerà a rediviva fenice.

L’occasione di A Hologram for the king tradotto abbastanza infelicemente in italiano come Aspettando il re è la riflessione su un bilancio della vita di un quarantacinquenne, Alan Clay appunto, sfruttando il pretesto abbastanza metaforico di un deserto dei tartari ove l’attesa è evidente propedeutica catarsi necessaria alla personale riabilitazione di sé.

Tra la sabbia che pervade tutto, isolando il protagonista dietro le mura fragili di un presente cui cerca di fuggire e una vita notturna mondana che vuol possedere in quel di Gedda tra discoteche e una donna che gli ronza attorno, affogando nell’alcool la sua frustrazione, Alan cercherà di trovare un senso alla sua vita, alla sua time line irrimediabilmente compromessa.

Strana commedia, quella diretta, da Tom Tykwer, basata sul romanzo di Dave Eggers Aspettando il re. Si potrebbe definire drammatica, simbolica: si pensi all’inizio ex abrupto in cui moglie, casa, famiglia svaniscono in esplosioni fumose e rossastre come sogni di vino, in cui Alan si trova in cima a una montagna russa scivolando pericolosamente giù e crollare, tutti segni di una minaccia, di un abisso dal quale il protagonista, dovrà cercare di risalire.

Con belle riprese delle moschee e della cultura araba, Aspettando il re è un film sfuggente, velatamente metaforico che non nasconde l’ironia grazie ai due protagonisti principali, Tom Hanks e Alexander Black in primis e al tempo stesso palesando un approccio drammatico alla “malattia”. Malattia che si fa occasione di rinascita per coltivare un amore con una dottoressa locale, la responsabile dell’operazione cui si sottoporrà il nostro protagonista.

In un ambiente dal duplice volto, ricco e opulento quanto umile e poetico, Alan ritroverà una compagna proprio nell’acqua, ossimoro in quel mondo, unico mezzo in grado di spazzare definitivamente via la polvere accumulatasi a strati sul suo cuore ridandogli forza, coraggio e soprattutto, restituendogli la sua dignità perduta di uomo..

Programmazione Cinema Italia dal 13-06 al 14-06

Programmazione Cinema Italia dal 13-06 al 14-06

 

Nocedicocco – il piccolo drago di N. West

 E’ la storia di un draghetto, appunto, Noce Di Cocco, il cui compito è fare la guardia all’erba del fuoco, un’erba importantissima per il suo clan che, grazie ad essa, è diventato un popolo di draghi sputafuoco. Quando Noce Di Cocco, per salvare un agnellino che sta per finire nelle fauci di altri draghi perde di vista l’erba, si scatena un incendio e succede un disastro. Riuscirà il piccolo drago a risolvere il pasticcio?

Quello che so di lei di M. Provost

In concorso al Festival di Berlino 2017.

Il cinema francese regala ruoli di spessore alle donne, non più ragazze, come nessun altra cinematografia. L’ennesima conferma arriva con un nuovo ruolo di rara intelligenza e consapevolezza di Catherine Deneuve, nel film di Martin ProvostQuello che so di lei. Un autore da sempre interessato all’universo femminile, basti pensare a Séraphine e Violette.

Il titolo originale (Sage femme) rimanda al nome con cui in Francia sono tradizionalmente chiamate le ostetriche, il cui antico sapere ha aiutato a nascere milioni di bambini e che Claire (Catherine Frot) nel film porta avanti con orgoglio. Le tecnologie moderne premono per un avvio alla vita meno legato all’esperienza, a quel metodo che privilegia l’elemento umano che per Claire è il senso stesso del lavoro e per molti anni della sua vita stessa. Il reparto maternità di un ospedale della periferia parigina in cui lavora sta chiudendo, e mentre deve decidere se passare a un nuovo fiammante sforna pargoli da 4000 nascite all’anno, riceve la telefonata di una donna, Béatrice (Catherine Deneuve), che arriva dritta dal suo passato. Sono trent’anni da quando è sparita, dalla vita di Claire e del padre, con cui aveva una relazione. Tutti e tre hanno vissuto per alcuni anni in allegria in una casa della rive gauche parigina. Ora ritorna perché malata, lei che ha sempre affrontato la vita con sfrontatezza bohemienne, vivendo in pieno senza rimpianti e godendo di ogni possibile gioia, pronta a sopportare le inevitabili cadute.

Quello che so di lei regala un ritratto di due donne completamente diverse: una rigorosa e sempre razionale, tutta dedita alla missione di far nascere nuove creature; l’altra irresponsabile, senza aver mai lavorato un giorno, pronta a giocarsi tutto al tavolo da gioco. La vita e la morte si affacciano continuamente nel film, crocevia di cambiamento per due donne e due grandi interpreti del cinema francese, alle prese con un rapporto prima diffidente e poi sempre più intimo, legato alla nostalgia di un passato d’amore per lo stesso uomo, padre o amante che fosse. Claire si fa convincere da Béatrice a prendere la vita meno sul serio, a colorarla di un sorriso infantile o di un bicchiere di troppo. Elogio dell’edonismo del buon vivere, della sigaretta come sinonimo di libertà, della carne rossa e del buon vino, si fa apprezzare soprattutto per le due grandi performance che ne sono il cuore pulsante, senza dimenticare il risveglio sensoriale per Claire rappresentato dal sanguigno camionista Olivier Gourmet.

Programmazione Cinema Italia dal 06-06 al 11-06

 Sette minuti dopo la mezzanotte di J.A. Bayona

Vincitore dei premi Goya 2017 e del Platinum Grand Prize al Future Film Festival 2017.

“7 minuti dopo la mezzanotte” è un film del regista spagnolo Juan Antonio Bayona, autore di film di successo come “The Orphanage” e “The Impossible”. La pellicola è l’adattamento dell’omonimo libro per bambini scritto da Patrick Ness, qui in veste di sceneggiatore.

Il Giovane Conor O’Malley vive un’infanzia molto difficile per la madre malata di cancro, perché lui stesso è vittima di bullismo a scuola e a causa un rapporto conflittuale con la nonna e il padre. L’unica cosa che porta sollievo al giovane è il disegno, nel quale può dare sfogo all’incredibile fantasia propria di un bambino.

Una notte, esattamente 7 minuti dopo la mezzanotte, viene a fargli visita un mostro molto particolare: privo di artigli o denti aguzzi; è un albero dalla forma umanoide, senza cattive intenzioni. Questo stringe un patto particolare con il giovane: gli racconta tre storie vere se in cambio Conor ne racconterà una che spieghi la sua verità.

Tre affascinanti racconti di formazione che permetteranno al giovane di comprendere la complessità dell’animo umano. L’incontro con questa creatura permetterà al giovane di affrontare la malattia terminale di sua madre e a convivere con la propria solitudine.

Il regista spagnolo ha scelto per il film un promettente cast hollywoodiano, tra cui Felicity Jones, nota maggiormente per i suoi ruoli in “La teoria del tutto”, “Rogue One: A Star Wars Story” e “Inferno”, stella nascente pronta a brillare. L’altra donna di “7 minuti dopo la mezzanotte” è Sigourney Weaver, attrice affermata e acclamata per tantissime interpretazioni, come “Ghostbuster” e “Avatar”. Poche presentazioni, dato che il nome parla già da sé per Liam Neeson, il Padre Feereira del “Silence” di Martin Scorsese, qui ‘nei rami’ dell’albero mostro.

La pellicola è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 2011, vincitore nel 2012 della Carnegie Medal e della Kate Greenaway Medal per il miglior libro per bambini, scritto da Patrick Ness, anche sceneggiatore del film.

 

This beautiful fantastic di Simon Aboud

Fuori concorso al BBC First British Film Festival in Australia, al New British Film Festival Russia e al Palm Springs International Film Festival.

 Bella Brown è un’eccentrica ragazza londinese che, appassionata di letteratura, lavora in una nota libreria della città sognando un giorno di scrivere e illustrare un libro per bambini. Ritrovata abbandonata nel cuore di Hyde Park da neonata, Bella è crescita sviluppando una serie di manie compulsive e altre fobie che l’hanno portata, tra le altre cose, a non curare minimamente il giardino sul retro della sua abitazione. La sua routine quotidiana, spesso sconnessa dal resto del mondo, è interrotta bruscamente proprio quando il padrone di casa, dando seguito alle lamentele di un suo anziano vicino, le impone di rimediare al grave stato di degrado in cui ha lasciato il giardino minacciandola di sfratto. Ad aiutare Bella a superare le sue paure e a far rivivere fiori e piante abbandonate da tempo, è lo stesso vicino di casa, Alfie Stephenson, che accetta di condividere con lei le sue conoscenze da orticoltore grazie all’intercessione del suo maggiordomo e cuoco personale Vernon, facendole quindi da mentore e fonte d’ispirazione. Nel frattempo, in libreria Bella fa la conoscenza di un inventore quasi altrettanto eccentrico, il costruttore di “animali meccanici stravaganti” Billy, tra le cui un uccello che riesce a volare alimentato dal chiaro di luna. Tra i due si svilupperà presto una forte intesa romantica..

 

Richard – Missione Africa di Toby Genkel

Fuori concorso al Festival di Berlino 2017.

Quando l’uovo si schiude e Richard apre gli occhi sul mondo per la prima volta, i suoi genitori non ci sono più e, al loro posto, il neonato passerotto trova la cicogna Aurora, che lo porta nel suo nido e lo cresce come un figlio. Col sopraggiungere dell’autunno, però, le cicogne dello stormo di Aurora, del suo compagno Claudius e del loro cucciolo Max, devono partire verso l’Africa, per sfuggire al freddo e obbedire alla loro natura. Anche se costa loro moltissimo, devono abbandonare Richard: non sopravviverebbe al viaggio. Ma il passero non ci sta: convinto di essere una cicogna, parte intrepido verso Sud, deciso a ricongiungersi con la sua famiglia.

Frutto di una task force tutta europea (Germania, Belgio, Lussemburgo, Norvegia), il film vola giustamente basso: come il passerotto protagonista deve fare i conti con le proprie forze, ma, anziché un limite, questo approccio si trasforma in virtù, contribuendo a mantenere le peripezie esposte su un piano credibile, per quanto straordinario. Attorno, le figure di contorno si dividono tra macchiette più di servizio che altro (i corvi mafiosi di Sanremo, il barista carceriere di Kiki) e personaggi minori ma non per efficacia, come Max, che porta il sentimento, e i piccioni “on line”, esilaranti emblemi satirici della dipendenza da social network.

Richard – Missione Africa, infine, è anche e soprattutto la storia di una migrazione, pericolosa ma obbligata: una storia che, in Europa, in questi anni, porta con sé, per forza di cose, un significato in più

 Quello che so di lei di M. Provost

In concorso al Festival di Berlino 2017.

Il cinema francese regala ruoli di spessore alle donne, non più ragazze, come nessun altra cinematografia. L’ennesima conferma arriva con un nuovo ruolo di rara intelligenza e consapevolezza di Catherine Deneuve, nel film di Martin Provost Quello che so di lei. Un autore da sempre interessato all’universo femminile, basti pensare a Séraphine e Violette.

Il titolo originale (Sage femme) rimanda al nome con cui in Francia sono tradizionalmente chiamate le ostetriche, il cui antico sapere ha aiutato a nascere milioni di bambini e che Claire (Catherine Frot) nel film porta avanti con orgoglio. Le tecnologie moderne premono per un avvio alla vita meno legato all’esperienza, a quel metodo che privilegia l’elemento umano che per Claire è il senso stesso del lavoro e per molti anni della sua vita stessa. Il reparto maternità di un ospedale della periferia parigina in cui lavora sta chiudendo, e mentre deve decidere se passare a un nuovo fiammante sforna pargoli da 4000 nascite all’anno, riceve la telefonata di una donna, Béatrice (Catherine Deneuve), che arriva dritta dal suo passato. Sono trent’anni da quando è sparita, dalla vita di Claire e del padre, con cui aveva una relazione. Tutti e tre hanno vissuto per alcuni anni in allegria in una casa della rive gauche parigina. Ora ritorna perché malata, lei che ha sempre affrontato la vita con sfrontatezza bohemienne, vivendo in pieno senza rimpianti e godendo di ogni possibile gioia, pronta a sopportare le inevitabili cadute.

Quello che so di lei regala un ritratto di due donne completamente diverse: una rigorosa e sempre razionale, tutta dedita alla missione di far nascere nuove creature; l’altra irresponsabile, senza aver mai lavorato un giorno, pronta a giocarsi tutto al tavolo da gioco. La vita e la morte si affacciano continuamente nel film, crocevia di cambiamento per due donne e due grandi interpreti del cinema francese, alle prese con un rapporto prima diffidente e poi sempre più intimo, legato alla nostalgia di un passato d’amore per lo stesso uomo, padre o amante che fosse. Claire si fa convincere da Béatrice a prendere la vita meno sul serio, a colorarla di un sorriso infantile o di un bicchiere di troppo. Elogio dell’edonismo del buon vivere, della sigaretta come sinonimo di libertà, della carne rossa e del buon vino, si fa apprezzare soprattutto per le due grandi performance che ne sono il cuore pulsante, senza dimenticare il risveglio sensoriale per Claire rappresentato dal sanguigno camionista Olivier Gourmet.

Programmazione Cinema Italia dal 30-05 al 04-06

Programmazione Cinema Italia dal 30-05 al 04-06

 

This beautiful fantastic di Simon Aboud
Fuori concorso al BBC First British Film Festival in Australia, al New British Film Festival Russia e al Palm Springs International Film Festival.
Bella Brown è un’eccentrica ragazza londinese che, appassionata di letteratura, lavora in una nota libreria della città sognando un giorno di scrivere e illustrare un libro per bambini. Ritrovata abbandonata nel cuore di Hyde Park da neonata, Bella è crescita sviluppando una serie di manie compulsive e altre fobie che l’hanno portata, tra le altre cose, a non curare minimamente il giardino sul retro della sua abitazione. La sua routine quotidiana, spesso sconnessa dal resto del mondo, è interrotta bruscamente proprio quando il padrone di casa, dando seguito alle lamentele di un suo anziano vicino, le impone di rimediare al grave stato di degrado in cui ha lasciato il giardino minacciandola di sfratto. Ad aiutare Bella a superare le sue paure e a far rivivere fiori e piante abbandonate da tempo, è lo stesso vicino di casa, Alfie Stephenson, che accetta di condividere con lei le sue conoscenze da orticoltore grazie all’intercessione del suo maggiordomo e cuoco personale Vernon, facendole quindi da mentore e fonte d’ispirazione. Nel frattempo, in libreria Bella fa la conoscenza di un inventore quasi altrettanto eccentrico, il costruttore di “animali meccanici stravaganti” Billy, tra le cui un uccello che riesce a volare alimentato dal chiaro di luna. Tra i due si svilupperà presto una forte intesa romantica..
 
Maurizio Cattelan: be righe back di Maura Axelrod
Fuori concorso al Tribeca Film Festival 2017.
 
Prendete uno degli artisti più irriverenti, provocatori e geniali degli ultimi anni. E provate a immaginarvi cosa accadrebbe se tentaste di raccontare la sua carriera dirompente. Nell’impresa si è cimentata la regista Maura Axelrod che in Maurizio Cattelan: Be Right Back racconta uno dei personaggi più ironici dell’arte del nostro tempo, intervistando curatori, collezionisti, luminari del mondo dell’arte (ed ex-fidanzate) su ciò che rende unico l’autore di opere come La nona ora (che mostra Papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite) e Him (che ritrae Hitler in ginocchio, come uno scolaretto intento a pregare).
Dopo un periodo in cui si è specializzato in opere basate sulla tassidermia, Cattelan ha cominciato infatti a creare statue di cera a grandezza naturale dedicate a personaggi famosi: da qui sono nati alcuni dei suoi pezzi più celebri, come la sua Untitled, in cui da un buco nel pavimento esce l’autoritratto dell’artista. Maurizio Cattelan: Be Right Back ci accompagna in un viaggio vertiginoso in compagnia dell’uomo che, dalla fine degli anni Ottanta ad oggi, ha scosso il mondo dell’arte contemporanea con una serie di installazioni dirompenti a partire dalla celebre “Torno subito”, che prende il nome dal cartello che Cattelan aveva attaccato al muro della galleria che doveva ospitare la sua esposizione. Per arrivare sino ai manichini di bambini impiccati a un albero a Milano, a L.O.V.E (una mano aperta con un solo dito, il medio, che si staglia davanti alla Borsa di Milano) e a Daddy Daddy, un coloratissimo Pinocchio di Walt Disney affogato in una piscina. Tra i protagonisti del film anche Massimiliano Gioni, critico d’arte e direttore associato del New Museum of Contemporary Art di New York. I due diventano amici quando nel 1998 Gioni deve intervistare Cattelan per la rivista Flash Art.
Per ogni domanda Cattelan cerca una risposta online, riciclando frasi altrui. Si divertono così tanto che l’artista propone a Gioni di rilasciare una serie di interviste al suo posto, diventando in qualche modo la sua controfigura. Cosa che accade in numerose occasioni, divenendo a sua volta una performance.
Del resto nel corso della sua carriera ventennale, Maurizio Cattelan – nato a Padova nel 1960 da una famiglia modesta – non ha mai smesso di stupire come ha dimostrato anche Maurizio Cattelan: All, la retrospettiva del 2011 a lui dedicata dal Guggenheim Museum di New York, che ne ha consacrato definitivamente il successo. Così quello di Maura Axelrod si trasforma in un ritratto divertente e appassionato per capire chi sia davvero Maurizio Cattelan, dalle origini a oggi. Con tutta l’ironia che lo caratterizza..
 
Richard – Missione Africa di Toby Genkel
Fuori concorso al Festival di Berlino 2017.
Quando l’uovo si schiude e Richard apre gli occhi sul mondo per la prima volta, i suoi genitori non ci sono più e, al loro posto, il neonato passerotto trova la cicogna Aurora, che lo porta nel suo nido e lo cresce come un figlio. Col sopraggiungere dell’autunno, però, le cicogne dello stormo di Aurora, del suo compagno Claudius e del loro cucciolo Max, devono partire verso l’Africa, per sfuggire al freddo e obbedire alla loro natura. Anche se costa loro moltissimo, devono abbandonare Richard: non sopravviverebbe al viaggio. Ma il passero non ci sta: convinto di essere una cicogna, parte intrepido verso Sud, deciso a ricongiungersi con la sua famiglia.
Frutto di una task force tutta europea (Germania, Belgio, Lussemburgo, Norvegia), il film vola giustamente basso: come il passerotto protagonista deve fare i conti con le proprie forze, ma, anziché un limite, questo approccio si trasforma in virtù, contribuendo a mantenere le peripezie esposte su un piano credibile, per quanto straordinario. Attorno, le figure di contorno si dividono tra macchiette più di servizio che altro (i corvi mafiosi di Sanremo, il barista carceriere di Kiki) e personaggi minori ma non per efficacia, come Max, che porta il sentimento, e i piccioni “on line”, esilaranti emblemi satirici della dipendenza da social network.
Richard – Missione Africa, infine, è anche e soprattutto la storia di una migrazione, pericolosa ma obbligata: una storia che, in Europa, in questi anni, porta con sé, per forza di cose, un significato in più
 
Sette minuti dopo la mezzanotte di J.A. Bayona
Vincitore dei premi Goya 2017 e del Platinum Grand Prize al Future Film Festival 2017.
“7 minuti dopo la mezzanotte” è un film del regista spagnolo Juan Antonio Bayona, autore di film di successo come “The Orphanage” e “The Impossible”. La pellicola è l’adattamento dell’omonimo libro per bambini scritto da Patrick Ness, qui in veste di sceneggiatore.
Il Giovane Conor O’Malley vive un’infanzia molto difficile per la madre malata di cancro, perché lui stesso è vittima di bullismo a scuola e a causa un rapporto conflittuale con la nonna e il padre. L’unica cosa che porta sollievo al giovane è il disegno, nel quale può dare sfogo all’incredibile fantasia propria di un bambino.
Una notte, esattamente 7 minuti dopo la mezzanotte, viene a fargli visita un mostro molto particolare: privo di artigli o denti aguzzi; è un albero dalla forma umanoide, senza cattive intenzioni. Questo stringe un patto particolare con il giovane: gli racconta tre storie vere se in cambio Conor ne racconterà una che spieghi la sua verità.
Tre affascinanti racconti di formazione che permetteranno al giovane di comprendere la complessità dell’animo umano. L’incontro con questa creatura permetterà al giovane di affrontare la malattia terminale di sua madre e a convivere con la propria solitudine.
Il regista spagnolo ha scelto per il film un promettente cast hollywoodiano, tra cui Felicity Jones, nota maggiormente per i suoi ruoli in “La teoria del tutto”, “Rogue One: A Star Wars Story” e “Inferno”, stella nascente pronta a brillare. L’altra donna di “7 minuti dopo la mezzanotte” è Sigourney Weaver, attrice affermata e acclamata per tantissime interpretazioni, come “Ghostbuster” e “Avatar”. Poche presentazioni, dato che il nome parla già da sé per Liam Neeson, il Padre Feereira del “Silence” di Martin Scorsese, qui ‘nei rami’ dell’albero mostro.
La pellicola è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 2011, vincitore nel 2012 della Carnegie Medal e della Kate Greenaway Medal per il miglior libro per bambini, scritto da Patrick Ness, anche sceneggiatore del film.

Programmazione Cinema Italia dal 23-05 al 28-05

Sasha e il Polo Nord di Rémi Chayé
Vincitore del premio del pubblico al Festival di Annecy 2016
Presentato al Future Film Festival
Dopo i passaggi festivalieri, arriva nelle sale con la PFA il più che convincente esordio alla regia di Rémi Chayé. Il percorso artistico di Chayé, storyboarder e assistente alla regia di The Secret of Kells e La tela animata, si rispecchia perfettamente nelle scelte di character design, nella predominanza dei colori sulle linee, nella elevata valenza pittorica di molte tavole e nella qualità dello script di questa opera prima. Romanzo di formazione, avventura ed esplorazione, Sasha e il Polo Nord (Tout en haut du monde) è l’ennesima dimostrazione della qualità ed estrema vivacità del cinema d’animazione transalpino. L’animazione tradizionale è vivissima.
Sasha, una giovanissima aristocratica russa alla fine del XIX secolo, sogna il Grande Nord e si strugge per suo nonno Oloukine, un rinomato scienziato ed esploratore dell’Artico che non ha mai fatto ritorno dall’ultima esplorazione alla conquista del Polo Nord. Lui ha trasmesso la sua vocazione a Sasha che certo non sta soddisfacendo le aspettative dei genitori, che già hanno organizzato per lei le nozze. Sasha si ribella a questo destino e decide di raggiungere Oloukine verso il Grande Nord… [sinossi]
Ancora la Francia. Sasha e il Polo Nord, aka Tout en haut du monde/Long Way North, conferma la dinamicità ed elasticità produttiva e artistica dell’industria animata transalpina, qui alle prese con un’opera prima e con una coproduzione con la Danimarca. Un’opera prima che non casca dalle nuvole: il percorso artistico di Rémi Chayé, storyboarder e assistente alla regia degli imprescindibili The Secret of Kells e La tela animata, si rispecchia perfettamente nelle scelte di character design, nella predominanza dei colori sulle linee, nella elevata valenza pittorica di molte tavole e nella qualità dello script. Insomma, talento grafico, messa in scena e un raffinato gusto per la narrazione – letteratura per ragazzi, d’avventura e d’esplorazione che prende per mano lo spettatore e lo porta in giro per il mondo, come un Michele Strogoff per ragazzini e in gonnella [1].
Sasha e il Polo Nord è un gioiellino da difendere a spada tratta. Allo spirito avventuroso di pellicole come Le avventure di Zarafa – Giraffa giramondo, che gli sceneggiatori Claire Paoletti e Patricia Valeix rendono più compatto e maturo, Chayé aggiunge affascinanti scelte cromatiche ed estetiche. Si rintraccia, come detto, la predominanza dei colori sulle linee de La tela animata di Jean-François Laguionie, ma ci piace pensare e risalire all’abbacinante Fehérlófia (1981) dell’ungherese Marcell Jankovics: un’animazione che non rinuncia mai all’arte e alla narrazione, che rivendica le proprie radici culturali, produttive ed estetiche. Pur non spingendosi fino alle sperimentazioni visive di Jankovics, e abbracciando una chiarezza didascalica sia nello script che nelle immagini, Chayé mette in mostra un’animazione che non si preoccupa dei dettagli ma che deflagra nei campi lunghi, nei totali, nei paesaggi e nei volti tondeggianti e delicati dei giovani protagonisti.
Sasha e il Polo Nord non insegue il fotorealismo o un’impeccabile fluidità dei movimenti, ma cerca di riempire lo sguardo degli spettatori con i colori e i loro accostamenti. Sasha e il Polo Nord è animazione impressionista che si mette a servizio di una narrazione puskiniana: l’ipercromatismo, accompagnato da un comparto sonoro scarno ma efficace e da alcune sottili intuizioni di sceneggiatura (ad esempio, la mano di Sasha che accarezza il mappamondo, facendolo girare e prefigurando l’imminente avventura), nasce dal bianco e riesce a dare un senso compiuto a ogni singola tavola, a ogni passaggio narrativo e psicologico. Illuminante, per l’utilizzo del bianco e degli altri colori, la sequenza del treno che si allontana verso l’orizzonte, tra il verde dei prati, l’azzurro del cielo e le candide nuvole.
Trailer ita:  https://www.youtube.com/watch?v=Gqr9bm0T3PI
Materiali stampa: http://www.pfafilms.com/lista-film/catalogo-distribuzione/155-sasha-e-il-polo-nord.html
 
Bandiza – storie venete di confine di A. Padovese
La serata del 23 maggio, in concomitanza all’evento Alle Radici della Vita, saranno presenti in sala il regista Alessio Padovese, lo scrittore Renzo Mazzaro e Legambiente Riviera del Brenta.
Bandiza era il termine con cui si indicava il confine fra due province, nel film-documentario  è la frontiera spazio-temporale tra le storie raccontate. Il film-documentario fa vedere un territorio devastato da uno dei peggiori inquinamenti in Italia e nell’intera Europa, una terra dei fuochi nordestina: fumi degli inceneritori, polluzione dovuta al traffico o a industria pesante. Inoltre mostra opere che consumano contrade, ambiente e persone. Dalle montagne delle Dolomiti bellunesi, dalle foci del fiume a Rovigo, alla pianura padana, alle città del Veneto.
All’ inizio del documentario un bambino, stanco del traffico, conta i tir che passano vicino  alla sua casa, dai 500 ai 1000 al giorno. Ha in testa un rumore continuo, giorno e notte, insopportabile e si chiede quale sarà il suo futuro.
Un esempio di disastro, fra i tanti: sotto il manto della Valdastico Sud ci sarebbero veleni cancerogeni. Sarebbero scarti di provenienti dalle acciaierie, non trattati e quindi pericolosi per la presenza di cromo esavalente: 150 mila i metri cubi di veleni per quindici chilometri.
Non esiste ancora una mappa dettagliata dei punti inquinati e sembra esserci anche il rischio di una chiusura dell’autostrada, con sventramento dell’asfalto e bonifica. Decisivo sarà il rapporto dell’ARPAV ai magistrati per far vedere l’ inquinamento della falda acquifera.
Si è data voce a storie venete, di grande peso sociale, di persone alle quali è stata rubata  la possibilità di avere un sostentamento economico, senza la possibilità di lavorare, con la consapevolezza di aver perso tutto. Bandiza è stato proiettato in varie realtà venete, il prossimo 15 gennaio verrà proiettato a Montebelluna, aiutando a prendere coscienza di quanto sopra.
Hanno partecipato al film-documentario, vari movimenti, comitati ed organizzazioni tra i quali: M5s, Slow Food, Lasciateci respirare, Opzione Zero, WWF, Decrescita Felice, Lega Ambiente, Energo Club. Interessante e importante per i contenuti, l’intervista allo scrittore/giornalista Renzo Mazzaro autore del libro “I padroni nel Veneto”.
 
On the milky road – Sulla via lattea
di Emir Kusturica
MENZIONE SPECIALE , PREMIO SIGNIS E LEONCINO D’ORO AGISCUOLA ALLA 73. MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2016).
Tra realismo e di visionarietà, Emir Kusturica torna sulla guerra balcanica e dirige Monica Bellucci in una delle più efficaci interpretazioni della sua carriera.
Primavera in tempo di guerra in quella che fu la Jugoslavia. Un lattaio attraversa quotidianamente i campi di battaglia cavalcando il suo asino e sfuggendo al tiro incrociato dei fronti opposti. Nel villaggio in cui vive c’è una ragazza che lo vorrebbe sposare e che, nel frattempo, sta organizzando il matrimonio per il fratello eroe di guerra. Per far ciò ha fatto arrivare una donna di madre italiana e padre serbo che attrae immediatamente l’attenzione del lattaio. Ha inizio così una storia di passione che deve confrontarsi con la follia del conflitto armato.
“L’unica cosa che abbia un senso è amare qualcuno, come si può”. Questa frase, pronunciata da una Monica Bellucci in una delle più efficaci interpretazioni della sua ormai lunga carriera, ci dice come Kusturica, qui anche attore protagonista, torni a leggere il conflitto che ha insanguinato la sua patria sotto una nuova luce. Il suo è un cinema che si innerva da sempre su un mix di realismo e di visionarietà ma mai come in questa occasione il rapporto uomo-donna si è andato ad opporre alla devastazione causata dall’uomo armato. Il suo lattaio che caracolla con asino e ombrello (quasi novello Trinità) tra le pallottole è un innocente sopravvissuto a perdite cruente ma capace di ‘leggere’ la Natura. Perché qui gli animali (con in primo piano un falco pellegrino e un serpente) fanno da controcanto all’impazzimento degli uomini sin dalle prime inquadrature. Ci sono oche che sguazzano nel sangue di un maiale sgozzato così come ci saranno pecore chiamate al sacrificio o una gallina impazzita che rivaleggia con la propria immagine allo specchio.
Ci sono poi ‘loro’: un uomo e una donna che cercano di sfuggire a una realtà in cui anche la misurazione del tempo è divenuta assurda (c’è chi ha ai polsi due orologi mentre un altro orologio enorme fa di tutto tranne segnare l’ora). Il loro avvicinarsi ha origine da vite non facili che trovano una modalità di comunicazione che supera il contingente. Ecco allora che il testo ad epigrafe che apre il film: “Tratto da tre storie vere e da molta fantasia” trova attraverso i loro corpi una conferma. Perché si può essere certi che Kusturica abbia attinto a fatti realmente accaduti in quello che è stato uno dei più sanguinosi conflitti della storia recente. Così come si può avvertire quasi a pelle il suo bisogno di trasfigurarlo in immagini che consentano ai suoi protagonisti di andare ‘oltre’ l’orrore per cercare insieme una liberazione da ciò che non si può più sopportare. Non sono solo gli uccelli a volare in questo film che ci regala un finale che, come accadde per Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera di Kim Ki-Duk, è destinato a rimanere nella memoria
 
This beautiful fantastic di Simon Aboud
Fuori concorso al BBC First British Film Festival in Australia, al New British Film Festival Russia e al Palm Springs International Film Festival.
Bella Brown è un’eccentrica ragazza londinese che, appassionata di letteratura, lavora in una nota libreria della città sognando un giorno di scrivere e illustrare un libro per bambini. Ritrovata abbandonata nel cuore di Hyde Park da neonata, Bella è crescita sviluppando una serie di manie compulsive e altre fobie che l’hanno portata, tra le altre cose, a non curare minimamente il giardino sul retro della sua abitazione. La sua routine quotidiana, spesso sconnessa dal resto del mondo, è interrotta bruscamente proprio quando il padrone di casa, dando seguito alle lamentele di un suo anziano vicino, le impone di rimediare al grave stato di degrado in cui ha lasciato il giardino minacciandola di sfratto. Ad aiutare Bella a superare le sue paure e a far rivivere fiori e piante abbandonate da tempo, è lo stesso vicino di casa, Alfie Stephenson, che accetta di condividere con lei le sue conoscenze da orticoltore grazie all’intercessione del suo maggiordomo e cuoco personale Vernon, facendole quindi da mentore e fonte d’ispirazione. Nel frattempo, in libreria Bella fa la conoscenza di un inventore quasi altrettanto eccentrico, il costruttore di “animali meccanici stravaganti” Billy, tra le cui un uccello che riesce a volare alimentato dal chiaro di luna. Tra i due si svilupperà presto una forte intesa romantica..

Programmazione Cinema Italia dal 16-05 al 21-05

Planetarium di R. Zotlowski

FUORI CONCORSO ALLA 73. MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2016)
Laura (Natalie Portman) e Kate (Lily-Rose Depp), alla vigilia della II Guerra Mondiale, sono due sorelle che si guadagnano da vivere con sedute spiritiche private e in teatro. Quando il loro peregrinare le porta a Parigi, incontrano il produttore cinematografico Andre (Emmanuel Salinger), che decide di ospitarle in casa propria, ossessionato dall’idea di riuscire a cogliere su pellicola le esperienze extrasensoriali. Mentre i poteri di Kate diventano l’ossessione di Andre, Laura diventa un’attrice quasi per caso.
Opera terza di Rebecca Zlotowski, anche coautrice della sceneggiatura con Robin Campillo, Planetarium è un film dalle molteplici anime, che la regista affronta con una temerarietà che le si deve riconoscere. I diversi temi s’intrecciano, richiedendo alla macchina cinematografica, in montaggio e immagine, di adeguarsi alle deviazioni mentali che la Zlotowski apre allo spettatore. Si parte con l’idea di una dimensione extrasensoriale, legata alla morte, all’assenza e al rimpianto. Si prosegue innestando una riflessione sul cinema, sulla sua illusione, ma anche sulla sua sostanziale somiglianza con l’esperienza esoterica di cui sopra. Si aggiunge una dimensione di erotismo non sempre esplicito, ma forte anche sottotraccia. Si approda al dramma sociale dell’antisemitismo, quando l’inseguimento del senso della vita e della morte, che ha caratterizzato il percorso di tutti i personaggi, deve piegarsi all’annullamento della guerra.
L’autrice divide col cast il compito di affrontare l’impresa: soprattutto Natalie Portman, che conferma una presenza scenica magnetica, e ha scelto di persona Lily-Rose Depp (funzionale). Ruba però la scena Emmanuel Salinger, dolente e stralunato, poco divo rispetto al Louis Garrel qui in un ruolo minore, ma all’altezza della lucida alienazione che si richiede al suo personaggio.
Se però fosse sempre così semplice mescolare registri e tematiche, il panorama cinematografico sarebbe più vario: Planetarium è sicuramente un film che stimola l’attenzione dello spettatore, diviso tra la curiosità e il tentativo di decifrare i messaggi che la Zlotowski cerca di non spiegare mai troppo. Tanta attenzione però sul lungo termine stanca, perché non viene compensata da un coinvolgimento emotivo equivalente a quello razionale: si passa più tempo a riflettere su Planetarium che ad emozionarsi per i suoi protagonisti. Quando la sceneggiatura chiama a raccolta il dramma e le lacrime vere nel finale, qualcosa non funziona, perché la voglia di sfaccettare il film ha già preso il sopravvento su una comunicazione classica.
La tenerezza di Gianni Amelio
“La Tenerezza” narra una storia ambientata a Napoli, ma una Napoli lontana dagli scenari della malavita organizzata: stavolta le vicende hanno luogo fra le mura di una famiglia borghese, in un ambiente  familiare in cui le gioie si uniscono a momenti di profondo sconforto e violenza, dove un padre vive con dei figli che purtroppo non ama.
I figli in questione sono due bambini, fratello e sorella, in costante conflitto tra loro, vittime di un clima familiare poco stabile, dove possono soltanto osservare ciò che accade, senza poter assolutamente reagire.
La vita che all’apparenza può sembrare felice, nasconde delle pieghe e delle sfaccettature di pura tragedia. Il dolore è tanto, ma la speranza è l’ultima a morire.
“La Tenerezza” è un film che ben rappresenta il continuo fluire di sentimenti, tra persone diverse, che sembra facciano di tutto per allontanarsi da qualsiasi forma di affetto. Abbiamo un padre che non ama i suoi figli, che vittime della freddezza familiare hanno un rapporto contrastante. Sentimenti che sfumano nel sorriso ma anche nella violenza.
Ma il titolo non è ingannevole, il regista Gianni Amelio ha dichiarato: “Io credo che il bisogno di tenerezza si abbia nei momenti di tragedia quando qualcuno è bombardato da tanti problemi: la tenerezza è un bisogno, è un bisogno darla ma soprattutto riceverla!”. Parole che riassumono il senso del film, che parla d’amore, di storie d’amore che si incrociano e che ha un cast ‘perfetto’, almeno così lo definisce lo stesso director.
Un film, questo, riconosciuto di interesse culturale, con il contributo economico del ministero dei beni e delle attività culturali del ‘turismo-direzione generale cinema’. L’idea di questa pellicola, che unisce insieme la componente drammatica e quella del giallo,  è nata a Gianni Amelio dopo che gli è stato proposto un libro  “Essere felice”, romanzo dell’autore partenopeo Lorenzo Marone
Sasha e il Polo Nord di Rémi Chayé
Vincitore del premio del pubblico al Festival di Annecy 2016
Presentato al Future Film Festival
Dopo i passaggi festivalieri, arriva nelle sale con la PFA il più che convincente esordio alla regia di Rémi Chayé. Il percorso artistico di Chayé, storyboarder e assistente alla regia di The Secret of Kells e La tela animata, si rispecchia perfettamente nelle scelte di character design, nella predominanza dei colori sulle linee, nella elevata valenza pittorica di molte tavole e nella qualità dello script di questa opera prima. Romanzo di formazione, avventura ed esplorazione, Sasha e il Polo Nord (Tout en haut du monde) è l’ennesima dimostrazione della qualità ed estrema vivacità del cinema d’animazione transalpino. L’animazione tradizionale è vivissima.
Sasha, una giovanissima aristocratica russa alla fine del XIX secolo, sogna il Grande Nord e si strugge per suo nonno Oloukine, un rinomato scienziato ed esploratore dell’Artico che non ha mai fatto ritorno dall’ultima esplorazione alla conquista del Polo Nord. Lui ha trasmesso la sua vocazione a Sasha che certo non sta soddisfacendo le aspettative dei genitori, che già hanno organizzato per lei le nozze. Sasha si ribella a questo destino e decide di raggiungere Oloukine verso il Grande Nord… [sinossi]
Ancora la Francia. Sasha e il Polo Nord, aka Tout en haut du monde/Long Way North, conferma la dinamicità ed elasticità produttiva e artistica dell’industria animata transalpina, qui alle prese con un’opera prima e con una coproduzione con la Danimarca. Un’opera prima che non casca dalle nuvole: il percorso artistico di Rémi Chayé, storyboarder e assistente alla regia degli imprescindibili The Secret of Kells e La tela animata, si rispecchia perfettamente nelle scelte di character design, nella predominanza dei colori sulle linee, nella elevata valenza pittorica di molte tavole e nella qualità dello script. Insomma, talento grafico, messa in scena e un raffinato gusto per la narrazione – letteratura per ragazzi, d’avventura e d’esplorazione che prende per mano lo spettatore e lo porta in giro per il mondo, come un Michele Strogoff per ragazzini e in gonnella [1].
Sasha e il Polo Nord è un gioiellino da difendere a spada tratta. Allo spirito avventuroso di pellicole come Le avventure di Zarafa – Giraffa giramondo, che gli sceneggiatori Claire Paoletti e Patricia Valeix rendono più compatto e maturo, Chayé aggiunge affascinanti scelte cromatiche ed estetiche. Si rintraccia, come detto, la predominanza dei colori sulle linee de La tela animata di Jean-François Laguionie, ma ci piace pensare e risalire all’abbacinante Fehérlófia (1981) dell’ungherese Marcell Jankovics: un’animazione che non rinuncia mai all’arte e alla narrazione, che rivendica le proprie radici culturali, produttive ed estetiche. Pur non spingendosi fino alle sperimentazioni visive di Jankovics, e abbracciando una chiarezza didascalica sia nello script che nelle immagini, Chayé mette in mostra un’animazione che non si preoccupa dei dettagli ma che deflagra nei campi lunghi, nei totali, nei paesaggi e nei volti tondeggianti e delicati dei giovani protagonisti.
Sasha e il Polo Nord non insegue il fotorealismo o un’impeccabile fluidità dei movimenti, ma cerca di riempire lo sguardo degli spettatori con i colori e i loro accostamenti. Sasha e il Polo Nord è animazione impressionista che si mette a servizio di una narrazione puskiniana: l’ipercromatismo, accompagnato da un comparto sonoro scarno ma efficace e da alcune sottili intuizioni di sceneggiatura (ad esempio, la mano di Sasha che accarezza il mappamondo, facendolo girare e prefigurando l’imminente avventura), nasce dal bianco e riesce a dare un senso compiuto a ogni singola tavola, a ogni passaggio narrativo e psicologico. Illuminante, per l’utilizzo del bianco e degli altri colori, la sequenza del treno che si allontana verso l’orizzonte, tra il verde dei prati, l’azzurro del cielo e le candide nuvole.
Trailer ita:  https://www.youtube.com/watch?v=Gqr9bm0T3PI
Materiali stampa: http://www.pfafilms.com/lista-film/catalogo-distribuzione/155-sasha-e-il-polo-nord.html
On the milky road – Sulla via lattea
di Emir Kusturica
MENZIONE SPECIALE , PREMIO SIGNIS E LEONCINO D’ORO AGISCUOLA ALLA 73. MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2016).
Tra realismo e di visionarietà, Emir Kusturica torna sulla guerra balcanica e dirige Monica Bellucci in una delle più efficaci interpretazioni della sua carriera.
Primavera in tempo di guerra in quella che fu la Jugoslavia. Un lattaio attraversa quotidianamente i campi di battaglia cavalcando il suo asino e sfuggendo al tiro incrociato dei fronti opposti. Nel villaggio in cui vive c’è una ragazza che lo vorrebbe sposare e che, nel frattempo, sta organizzando il matrimonio per il fratello eroe di guerra. Per far ciò ha fatto arrivare una donna di madre italiana e padre serbo che attrae immediatamente l’attenzione del lattaio. Ha inizio così una storia di passione che deve confrontarsi con la follia del conflitto armato.
“L’unica cosa che abbia un senso è amare qualcuno, come si può”. Questa frase, pronunciata da una Monica Bellucci in una delle più efficaci interpretazioni della sua ormai lunga carriera, ci dice come Kusturica, qui anche attore protagonista, torni a leggere il conflitto che ha insanguinato la sua patria sotto una nuova luce. Il suo è un cinema che si innerva da sempre su un mix di realismo e di visionarietà ma mai come in questa occasione il rapporto uomo-donna si è andato ad opporre alla devastazione causata dall’uomo armato. Il suo lattaio che caracolla con asino e ombrello (quasi novello Trinità) tra le pallottole è un innocente sopravvissuto a perdite cruente ma capace di ‘leggere’ la Natura. Perché qui gli animali (con in primo piano un falco pellegrino e un serpente) fanno da controcanto all’impazzimento degli uomini sin dalle prime inquadrature. Ci sono oche che sguazzano nel sangue di un maiale sgozzato così come ci saranno pecore chiamate al sacrificio o una gallina impazzita che rivaleggia con la propria immagine allo specchio.
Ci sono poi ‘loro’: un uomo e una donna che cercano di sfuggire a una realtà in cui anche la misurazione del tempo è divenuta assurda (c’è chi ha ai polsi due orologi mentre un altro orologio enorme fa di tutto tranne segnare l’ora). Il loro avvicinarsi ha origine da vite non facili che trovano una modalità di comunicazione che supera il contingente. Ecco allora che il testo ad epigrafe che apre il film: “Tratto da tre storie vere e da molta fantasia” trova attraverso i loro corpi una conferma. Perché si può essere certi che Kusturica abbia attinto a fatti realmente accaduti in quello che è stato uno dei più sanguinosi conflitti della storia recente. Così come si può avvertire quasi a pelle il suo bisogno di trasfigurarlo in immagini che consentano ai suoi protagonisti di andare ‘oltre’ l’orrore per cercare insieme una liberazione da ciò che non si può più sopportare. Non sono solo gli uccelli a volare in questo film che ci regala un finale che, come accadde per Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera di Kim Ki-Duk, è destinato a rimanere nella memoria.