Programmazione Cinema Italia dal 10-05 al 15-05

mercoledì 11 maggio ore 16.30 (€ 4): LE CONFESSIONI
mercoledì 11 maggio ore 18.30 – 21 (€ 5): MISTER CHOCOLAT – cineforum
giovedì 12 maggio ore 18.45 – 21 (€ 3): LE STAZIONI DELLA FEDE – festival biblico
domenica 15 maggio ore 21 (€ 5): MISTER CHOCOLAT
mercoledì 18 maggio ore 16.30 (€ 4) – 18.30 e 21 (€ 5): THE LESSON – cineforum
giovedì 19 maggio ore 19 – 21 (€ 3): MARIE HEURTIN – festival biblico

Le confessioni
In un resort di lusso a bordo di una distesa d’acqua gli otto ministri economici delle grandi potenze soggiornano in attesa del summit che deciderà il futuro del mondo occidentale. Il consesso è presieduto da Daniel Roché, direttore del Fondo monetario internazionale, che ha invitato anche tre ospiti estranei al mondo dell’economia: una scrittrice di best seller per bambini, una rock star e un monaco, Roberto Salus. Roché chiede a Salus di ascoltare la sua confessione, e subito dopo viene trovato morto. Per i ministri le decisioni diventano tre: se quella morte sia un suicidio o un omicidio, come comunicarla al pubblico, e se si debba proseguire con la manovra che i ministri avrebbero dovuto varare nel corso del summit.
Dopo il successo di Viva la libertà, Roberto Andò affronta l’habitat politico-economico collocando i suoi personaggi nel pieno centro della scena, ma anche costringendoli in una sorta di laboratorio di osservazione suddiviso in loculi. Gli otto ministri formano il pantheon della contemporaneità occidentale, e come gli dèi dell’Olimpo sono fallibili e fallati, dunque le loro decisioni hanno spesso ricadute nefaste sui mortali. Quando il loro Zeus viene a mancare scoprono di non avere né una guida né una direzione, e ognuno comincia a reagire alla presenza del monaco portando alla coscienza (è il caso di dirlo) quel dubbio che ha fino a quel momento negato per obbedire alle leggi dell’economia e alla ragion di Stato, anche dopo che la sovranità nazionale si è arresa alla sottomissione al Fondo monetario. Siamo in zona Todo modo ma anche nella cornice dechirichiana de Il divo: pochi potenti in uno spazio asettico e confinato chiamati a confrontarsi con la dimensione etica del proprio ruolo.
La messinscena racconta una dimensione metafisica che a ben guardare non riguarda né la politica né l’economia e nemmeno la religione o l’arte, incarnate simbolicamente dai tre ospiti estranei al G8: il terreno di gioco è quello etico e Salus, diversamente dal Don Gaetano di Todo Modo, non ha i toni dell’inquisizione e non sollecita le confessioni di nessuno, ma si limita a raccogliere lo spaesamento di questi potenti del nulla, incapaci di portare i propri paesi fuori dalla crisi, o anche solo di confessare pubblicamente la propria inadeguatezza. Salus fa da cartina di tornasole dei dubbi e dei rimorsi di tutti, e i personaggi, né più né meno dei luoghi che attraversano, entrano ed escono da se stessi in un continuo gioco di sovrapposizioni e successivi disallineamenti fra (presa di) coscienza e reiterazione di un ruolo preconfezionato dalla Storia.
La regia di Andò è nitida e squadrata, racconta un mondo inerte persino nell’emergenza, muove le sue pedine in un tempo sospeso che diventa immateriale non perché “variabile dell’anima” ma perché non rivendicabile nemmeno da chi mette a punto gli orologi che segnano il ritmo di vita del resto del mondo. Salus.
Il cast di Le confessioni asseconda la visione metafisica e stupefatta del suo regista: Toni Servillo è un catalizzatore morale passivo e sibillino, Pierfrancesco Favino un ministro agìto dal suo ruolo e condannato ad essere estraneo a se stesso. Nessuno scambio verbale è spontaneo perché ogni frase è un testamento, ovvero una confessione. Ma per questi dèi condannati a governare il caos non c’è assoluzione, solo la possibilità di compiere una presa d’atto della propria intrinseca manchevolezza.
Mister Chocolat
Rafael Padilla, nome d’arte Chocolat, nacque a Cuba intorno al 1860. Dal circo al teatro, dall’anonimato alla fama, il film racconta il suo incredibile destino di primo artista nero in Francia a calcare la scena di un teatro e, con il clown Footit, a creare un duo comico di successo tra un artista bianco e uno di colore divenuto poi popolare nella Parigi della Belle Epoque, fino a quando questioni legate al denaro, al gioco d’azzardo e alla discriminazione razziale compromisero l’amicizia e la carriera di Chocolat. Il film racconta la struggente storia vera di un’amicizia unica e profonda in un’epoca di pregiudizi e discriminazioni.
Le stazioni della fede
La struttura di Kreuzweg è matematica, dopo un prologo il film si suddivide in piccoli quadri corrispondenti alle varie stazioni della via crucis. Ogni quadro è costituito quasi da un’inquadratura unica in cui tutto avviene. Ogni volta quindi assistiamo ad una scena in tempo reale, cioè nella quale la durata della scena corrisponde al tempo in cui la vediamo noi. Saltando qualche giorno ad ogni quadro assistiamo ad alcuni minuti nella vita della protagonista, la cui storia si fa sempre più appassionante.
Deviata da un’educazione bigotta cattolica la bambina al centro della storia desidera essere rigorosa, ha interiorizzato i precetti e li vuole eseguire alla lettera per aiutare il fratello malato. Tutta la forza di Kreuzweg sta nella maniera minimale, controllata e molto precisa con la quale la situazione sfugge sempre più di mano.
Se vi siete mai chiesti a cosa serva e che radici o motivazioni abbia lo stile rarefatto e lento del cinema più autoriale Kreuzweg è la risposta. Controllando tutto Bruggeman realizza effettivamente dei quadri, delle immagini in cui la composizione è al limite della perfezione tra estetica e funzionalità, tra montaggio interno (l’entrata e uscita dei protagonisti e il loro movimento nell’inquadratura) e scelte visive. Il tono dimesso della recitazione e il ritmo frenato sono la maniera migliore per entrare in una storia che è difficile da comprendere e frustrante da seguire. Quello raccontato infatti è un martirio che una persona infligge a se stessa per instradarsi su un impossibile percorso di santità ma Bruggeman lo fa senza un odio eccessivo o un punto di vista di condanna per la religione (tanto che inserisce anche personaggi dal credo più morbido).
Ma lo stile compassato di Kreuzweg è soprattutto importante per lo spiazzante finale che dimostra la buona fede del cineasta e la complessità della storia. Lungo tutto il film attraverso quel punto di vista così apparentemente oggettivo (camera fissa, nessuna enfasi) abbiamo l’impressione di assistere ai fatti per come si sono svolti, liberi di farci una nostra idea. In realtà scopriamo alla fine di aver avuto un pregiudizio anche noi, di essere stati influenzati dal film a farci certe idee che vengono smontate a sorpresa.
Proprio questo avanti e indietro tra ragione e torto, tra pregiudizio ed esito della storia, è un movimento fondamentale per la comprensione la potenza e la forza dello stile più antipatico e respingente ma, se utilizzato bene, anche il più complesso e coinvolgente
The lesson
Da cosa nasce l’idea di scrivere un film come THE LESSON? Queste le parole dei registi: “Alcuni anni fa venne riportato in televisione che, in una cittadina bulgara, una donna aveva rapinato una banca.
Tutti sospettavano che fosse stata una tossicomane, una criminale… Nessuno poteva immaginare che la rapinatrice della banca fosse in realtà una rispettabile insegnante con due lauree. Questo evento, accaduto nella nostra realtà, ci aveva lasciato una profonda traccia e aveva fatto sì che ci chiedessimo quale fosse la ragione che spinge una persona rispettabile a diventare una criminale. THE LESSON è il primo
lungometraggio che va a comporre una futura trilogia. Le tre storie narrate sono state ispirate dalla vita reale, ma questa è stata solo uno spunto per avviare un processo creativo. L’elemento che accomuna le tre storie è il tema della silenziosa ribellione delle persone semplici che combattono la logica mercantile, crudele e cinica del mondo in cui viviamo”. La parte difficile del film, e che i registi riescono a portarsi a casa, è il fatto che nonostante lo sguardo di THE LESSON risulti distaccato, lo spettatore rimane fino all’ultima scena con la curiosità di sapere quale sarà l’epilogo della storia. Si percepisce la non volontà dei due registi di pennellare una morale più o meno condivisa ma di creare un affresco crudo e spietato dello spaccato di vita di questa donna. Lo spettatore è così portato a seguire passo dopo passo la scoperta e la tentata risoluzione di ogni ostacolo che si frappone tra Nadezhda e la sua normalità
Marie Heurtin
Ispirato alla vita della vera Marie, ragazza cieca e sordomuta vissuta in Francia alla fine del 1800, il film di Jean-Pierre Améris si propone come un istintivo incrocio tra Il ragazzo selvaggio (1970) di Francois Truffaut e Anna dei miracoli (1962) di Arthur Penn, sfidando con ambizione e temerarietà la portata che questi due titoli hanno avuto nella storia del Cinema. Marie Heurtin – Dal buio alla luce è un’opera che spinge su una genuina retorica, intarsiando i novanta minuti di visione su una forte e struggente carica emozionale che conquista pur nei suoi eccessi palesemente strappalacrime; se a tratti il regista di Emotivi anonimi (2010) sembra spingere eccessivamente sul lato melodrammatico, è indubbio che la forza del racconto sia proprio nell’etica morale incarnata dalla figura di Marguerite, donna pronta a tutto pur di abbattere il muro di solitudine della povera Marie. Ed è così che ci si trova a commuoversi per il sorprendente cambiamento della ragazzina, che da selvaggia e indomabile si trasforma, grazie alle amorevoli cure della suora, in un essere puro di gioia e amore, pronta a donare la sua esperienza ad altre ragazze sfortunate. Ambientata quasi totalmente nel convento, immerso in una natura fresca e incontaminata, la pellicola è pregna di una spiritualità non dogmatica che abbraccia un pubblico ampio e trasversale grazie all’intensa dose di tenerezza che esplode in catartiche scene madri (l’incontro di Marie coi genitori, dopo mesi di lontananza, in primis) e alle strepitose performance delle sue due protagoniste: Isabelle Carré è amabile e testarda nella sua missione da angelo della salvezza, mentre l’esordiente Ariana Rivoire, sorda dalla nascita, si adatta con caparbietà ad un ruolo che condivide solo in parte anche nella vita reale.
Con un linguaggio dei segni che si trasforma con mirabile ispirazione in un alfabeto di gesti e contatti, Marie Heurtin – Dal buio alla luce ci porta alla scoperta della storia di Marie, ragazza sordomuta e cieca realmente vissuta a cavallo tra due secoli. Il regista Jean-Pierre Améris guarda ai classici del genere con omaggi e citazioni ma trova poi una sua via personale in questo racconto toccante e struggente che vive quasi totalmente sulla dirompente alchimia tra le due protagoniste. Se a tratti la monotonia fa capolino e una certa furbizia strappalacrime non è del tutto estranea ai novanta minuti di visione, le emozioni di certo non mancano in questa strenua lotta per abbattere le barriere più crudeli

Programmazione Cinema Italia dal 29-02 al 06-03

mercoledì 02 marzo ore 17: PERFETTI SCONOSCIUTI – ingresso € 4
mercoledì 02 marzo ore 19 – 21: IL FIGLIO DI SAUL – ingresso € 5
giovedì 03 marzo ore 18: IL FIGLIO DI SAUL – ingresso € 4
giovedì 03 marzo ore 20.30: IL GRANDE DITTATORE – ingresso € 5
sabato 05 marzo ore 18.30: ZOOTROPOLIS – ingresso € 5
sabato 05 marzo ore 21: THE DANISH GIRL
domenica 06 marzo ore 16.45: ZOOTROPOLIS – ingresso € 5
domenica 06 marzo ore 19 – 21.15: THE DANISH GIRL

PROGRAMMAZIONE CINEMA ITALIA DAL 06-10 AL 11-10

Martedì 06 ottobre ore 21  –  IL PIANETA CHE CI OSPITA di E. Olmi

                                                 –  I SOGNI DEL LAGO SALATO di A. Segre

                                                ingresso unico € 4 + abbonamenti cineforum

Mercoledì 07 ottobre ore 21  –  IL PIANETA CHE CI OSPITA di E. Olmi

                                                 –  I SOGNI DEL LAGO SALATO di A. Segre

                                                  ingresso unico € 5

Venerdì 09 ottobre ore 21  –  IL PIANETA CHE CI OSPITA di E. Olmi

                                                 –  I SOGNI DEL LAGO SALATO di A. Segre

                                                  ingresso unico € 5

Sabato 10 ottobre ore 18.30  –  INSIDE OUT di P. Docter – ingresso unico € 4

Sabato 10 ottobre ore 21  –  RITORNO ALLA VITA di W. Wenders

Domenica  11 ottobre ore 16.30  –  INSIDE OUT di P. Docter – ingresso unico € 4

Domenica 11 ottobre ore 18.30 e 21 –  RITORNO ALLA VITA di W. Wenders

 I SOGNI DEL LAGO SALTO

Note di regia
Se avessi ascoltato la ragione probabilmente non sarei partito. Non cercavo qualcosa di preciso. In questo film, più che in molti altri, ho semplicemente seguito il desiderio e l’istinto. E’ il privilegio del cinema documentario. E’ l’emozione del cinema documentario. Una libertà di sguardo e di pelle, che proverò a seguire sempre. Volevo andare in Kazakistan. Perdermi in terre di confine, in orizzonti talmente ampi da diventare intimi. “I sogni del lago salato” sono sogni che ho cercato nelle steppe asiatiche e che ho poi ritrovato nella cantina di mio zio Alberto (cugino direbbe lui), dove piccoli antichi sogni erano custoditi nelle pellicole 8 mm di 50 anni fa. Sono sogni che l’umanità ciclicamente prova a fare, senza avere il coraggio di fermarsi, di chiedersi cosa rimane indietro. Negli ultimi anni questi sogni sono accelerati a tal punto che per la mia generazione è diventato invece necessario iniziare a chiederselo. Stiamo contando le ferite e abbiamo voglia di fermarci. Abbiamo voglia di non accettare che gli orizzonti siano solo quelli della necessità di crescere. A me lo ha insegnato Sozial, un pastore in riva al Mar Caspio, sotto la prima tempesta di neve dell’inverno scorso. In Kazakistan. Non così lontano da qui.    Andrea Segre
 
INSIDE OUT
Inside Out è un film da vedere e rivedere. Ingegnoso, divertente, talvolta struggente, ritmato e – mai parola è stata più azzeccata – emozionante. Con incassi attorno ai 750 milioni di dollari nel mondo, è uno dei colpi migliori assestati dalla Disney-Pixar. Non è certo un caso che alla regia ci sia lo statunitense Pete Docter, già sceneggiatore di Toy Story – Il mondo dei giocattoli eWALL•E e premio Oscar al miglior film d’animazione per il dolcissimo UP. Una nuova nomination all’Academy Award è assicurata. Chissà che non giunga anche una nuova statuetta. Ad aiutarlo come co-regista Ronnie Del Carmen.
Inside Out ci porta nella testa dell’undicenne Riley. Nel quartier generale, a governare le reazioni della bambina c’è un affiatato e buffo quintetto di emozioni antropomorfe: la leader è Gioia, solare, con corpo da fata; accanto a lei ci sono Tristezza, blu, bassa e tondetta, occhialoni e maglione a collo alto, sempre giù di morale; Paura, che tiene in guardia Riley, è viola e magrissimo e pronto a drammatizzare su tutto; Rabbia è tarchiatello e ovviamente rosso, in camicia e cravatta; Disgusto è verde e stilosa. Sono solo cinque le emozioni immaginate dalla Pixar alla guida dell’umanità eppure sono una sintesi perfetta.
In fase di preparazione “ci siamo divertiti a leggere Freud e Jung… pur non essendo letture leggere. La verità è che nessuno sa come l’uomo veramente funzioni, e per questo ci sono tante teorie e filosofie, spesso in conflitto. La nostra è una versione un po’ più pop di Jung”, ha detto Docter a Roma per presentare il cartoon. Non è stato facile decidere quali emozioni rendere protagoniste: “Avevamo provato orgoglio, speranza, ‘schadenfreude’ (piacere procurato dalla sfortuna degli altri, ndr) ma ci siamo concentrati su cinque. Sono un po’ i nostri sette nani”..
RITORNO ALLA VITA
Come una favola, il cinema di Wenders verso altre forme/visioni: il modo di ri/vedere il documentario (lo strepitoso Pina), il legame col cinema statunitense come nel caso di quest’ultimo Ritorno alla vita. Più che un titolo, una frase ricorrente. Più che ripetuta, se ne sente l’eco in tutto il film. Quasi un piccolo pezzo di neve del paesaggio. La stessa neve di un film/dichiarazione/titolo: La vita è meravigliosa.
Una sera d’inverno Tomas (James Franco), un romanziere, dopo una discussione con la sua fidanzata Sara (Rachel McAdams), inizia a guidare senza meta in una strada di campagna. Sta nevicando e improvvisamente compare davanti a lui una slitta con un bambino. I freni cedono, l’auto slitta. E’ riuscito ad evitare l’incidente o no? Il bambino è salvo. Ma era da solo o no? Questo evento manderà progressivamente in frantumi la sua relazione. E lui stesso cadrà in una profonda depressione. La scrittura diventa l’unica arma per sfuggire alla sua condizione.
James Franco, curiosamente presente nei film di Herzog e Wenders i due cineasti tedeschi contemporanei più importanti, sembra guardare in macchina. E’ solo un’illusione. Il suo sguardo invece è catturato da una soggettiva, tranne nell’inquadratura finale. Si, Ritorno alla vita è anche un racconto in prima persona. Lo scrittore non nell’atto dell sua creazione, ma nel gioco parallelo tra scrittura e vita. E potrebbe già trattarsi di un romanzo autobiografico.
Sbanda sotto la tempesta Ritorno alla vita. Rimbalza tra passato e presente. Il suo cinema non può più (s)fuggire in uno spazio. La corsa si interrompe subito. La terra (prima) dell’abbondanza può apparire arida. L’ultimo Wenders è una sperimentazione frenata ma anche maestosa, che trova il suo punto di fuga nel tempo. Il film procede per progressive ellissi. Che possono apparire come stacchi temporali netti. Ma che possono essere anche il prolungamento, la metamorfosi di una magia. Con gli adulti che restano uguali a se stessi anche col passare degli anni. Con i figli che crescono e arrivano al momento della resa dei conti.
Probabilmente Ritorno alla vita è una nuova dimensione del cinema di Wenders. Un road-movie che non può più attraversare il paesaggio e viaggia nel corso del tempo. Che ha dei momenti potentissimi, come l’incidente nel luna park. Che vuole abbattere lo spazio come nella telefonata tra Tomas e Kate, la mamma del bambino/i, interpretata da una dolente Charlotte Gainsbourg che qui sembra sempre più un’attrice venuta dal passato. Con i due personaggi sono separati ma compaiono come fantasmi nella stessa inquadratura. Come magie. Dissolvenze di un’unione negata.
Ma è anche un film su una condizione emotiva. Ed è quella, nei suoi difetti, che fa vibrare Ritorno alla vita. Da quei vetri delle finestre, dove c’è la trappola di stare lì dentro e il desiderio di uscire fuori. Proprio come la contraddizione di quest’ultimo Wenders. Tra paura e desiderio, appunto. Che lascia i personaggi nella loro solitudine. Che non gli nega i suoi necessari abbracci. Quello di un cinema che ha ancora bisogno di stare attaccato al suo immaginario, ma che sta coraggiosamente cercando di non invecchiare.

PROGRAMMAZIONE CINEMA ITALIA DAL 28-08 AL 30-08

Venerdì 28 agosto ore 21 – L’ULTIMO LUPO di J.J. Annaud

Sabato 29 agosto ore 21 – L’ULTIMO LUPO di J.J. Annaud

Domenica 30 agosto ore 18.30 – L’ULTIMO LUPO di J.J. Annaud

Domenica 30 agosto ore 21 – SEI VIE PER SANTIAGO di L.B. Smith

L’ultimo lupo (Wolf Totem)

Predatori abili, vendicativi e allo stesso tempo riconoscenti fino all’inverosimile, i lupi hanno affascinato gli uomini, che in quest’animale vedevano destrezza e abilità tutte da imitare. Per i popoli guerrieri, questi predatori dagli occhi che quasi illuminano la notte più buia, erano delle divinità da venerare. La stessa Roma, secondo la leggenda, è nata proprio grazie al calore e alla dolcezza di una lupa che allevò Romolo e Remo, primogeniti della città eterna. Un tempo anche nel cuore delle montagne italiane dimoravano branchi di lupi, oggi ridotti a pochi esemplari. La settima arte, dicevamo, ha posato la sua macchina da presa su quest’animale e l’ha fatto attraverso generi diversi. Dal celebre Zanna Bianca (1991) a Balla coi lupi (1990) il cinema ha immortalato il momento in cui il cammino di un uomo s’incrocia con quello di un lupo, dando inizio a una danza intrisa di magia. Il plot è lo stesso anche ne L’ultimo lupo, uscito al cinema il 26 marzo 2015. L’azione si sposta nella Mongolia interna degli anni Sessanta, all’epoca della rivoluzione culturale cinese. Tratto dal libro Il totem del lupo di Jiang Rong, il lungometraggio stupisce per la bellezza delle immagini, realizzate anche per il 3D che, come afferma il regista francese Jean-Jacques Annoud, è efficace non nei campi lunghi e lunghissimi, bensì nei primi e nei primissimi piani. I paesaggi, e non solo i lupi, sono i veri protagonisti di questa pellicola dai toni impressionistici e carica di saggezza, che ha passato miracolosamente la censura del Governo cinese. Il messaggio de L’ultimo lupo è lapalissiano. La trama è semplice ma efficace. Chen Zhen (Feng Shaofeng) è uno studente di Pechino, acculturato, che poco conosce della Mongolia dove vive una comunità di pastori, ai quali Chen deve insegnare a leggere e scrivere, ma sarà quest’antico popolo a dare degli insegnamenti di vita al giovane che ritrova pace e serenità nella steppa, proprio come accade in Giappone a Nathan Algren ne L’ultimo samurai (2003).  Chen non si ribella apertamente agli ordini governativi ma con coraggio decide di salvare dalla morte l’ultimo cucciolo di lupo rimasto e di allevarlo come si fa con un cane. E…se proprio vogliamo trovare un difetto a questo film, possiamo individuarlo nella mancanza di personalità del protagonista. Bisogna tuttavia ricordare che L’ultimo lupo è stato finanziato dalla Cina e, quindi, Chen non poteva essere certo un ribelle. Al contrario il film si pone l’obiettivo di far riflettere i cinesi (e non solo) sullo spinoso problema dell’inquinamento ambientale. La pellicola, anche se manca di quel pathos proprio per le suddette ragioni, ci affascina grazie all’abilità del regista e a quella filosofia esistenziale che vede nel cielo e nella terra il principio e la fine del Tutto

Sei vie per Santiago (Walking the Camino)

Viaggiare significa lasciare a casa una parte di sé, per cercare tra le vie del mondo tutte le risposte intrappolate nei meandri del cuore; e al nostro ritorno, non saremo più gli stessi.
Lydia B. Smith vuole raccontare proprio questo attraverso il documentario Sei Vie per Santiago – Walking the Camino, in cui la filosofia del viaggio acquista un plus valore poiché va ad amalgamarsi nel contesto sacrale del pellegrinaggio, del cammino fatto a piedi, in una strada aspra e meravigliosa, che da Saint Jean Pied de Port attraversa il territorio francese e spagnolo, passando da Pamplona a Burgos, dal Convento di Sant’Antonio a La croce di Ferro e così via per ben 800 km, fino a raggiungere Santiago Di Compostela. Un tragitto conosciuto fin dal Medioevo, tra l’altro dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, in cui la regista riversa, come sulla tavolozza di un pittore, personalità differenti, ognuno con la propria battaglia, ognuno perso in una strada che ha bisogno di esplorare, spesso senza volerlo o senza saperlo.

Così Annie si lascia guidare dalla spiritualità e dalla competitività di stare al passo con gli altri, rendendosi infine conto che il suo corpo necessita di un passo lentissimo e meraviglioso, perché la vita va assaporata a piccoli sorsi. Per Wayne percorrere il Cammino di Santiago equivale ad onorare la memoria della moglie e nel rimembrare la sua assenza si fa accompagnare dal prete Jack. Misa ha intrapreso la sua lunga passeggiata pensando di ritagliarsi un momento per sé e restare sola, ma William sembra averle scombinato i piani! La tenace brasiliana Sam ha bisogno di ritrovare la forza e prendere in mano la sua esistenza; Thomas lo fa per sport, mentre Tatiana è spinta da una fede incrollabile e con coraggio si cimenta in questo viaggio col figlio di 7 anni e col fratello ateo Alexis, che spera di cambiare, ma alla fine sarà lei a trovarsi diversa.

La macchina da presa si muove con poetica destrezza tra i fili d’erba commossi di rugiada, prati illuminati dal sole, distese di grano che danzano al vento e piccoli ostelli in cui rifugiarsi con l’anima e il corpo, condividendo non solo il cibo, ma anche ansie, dolori, aspettative e gioie.

Credo di essere nata per fare questo film – racconta la Smith – Percorrendo il Cammino mi sono resa conto di quanto sia magico e sacro… non pensavo che sarei stata in grado di captare la sua magia. È un cammino verso il cuore, verso quello che c’è dentro.

La pellicola sa convogliare gli spettatori verso il ghirigori della storica via dei pellegrini, con l’aiuto di una colonna sonora spirituale, in grado di sintonizzarsi perfettamente al battito del cuore. Fa venire voglia di abbandonare tutto il caos della routine quotidiana, mettere da parte i rancori accumulati, le imprecisioni di una vita già programmata; azzerare il rumore del bla bla bla di fondo e alzare unicamente il volume della vita che scorre dentro: fluida, libera, già conscia di quale sia la sua meta.

La regista americana sa prenderci per mano e insegnarci che ognuno ha il suo passo, ma che tutti alla fine raggiungono la vetta; sa farci capire, senza giri di parole e filosofie trascendentali, che la tutta la nostra vita è un viaggio alla scoperta di noi stessi e che dietro la fine si cela sempre un nuovo inizio.

———————

ingresso intero € 5 – ridotto € 4

solo per il film SEI VIE PER SANTIAGO l’ingresso è unico ad € 4