Foglietto Settimanale 05/03/2017 – 12/03/2017
I VENERDI’ A TEATRO
“I venerdì a teatro” è la rassegna del teatro dialettale e non con cui il Cinema Italia vuole valorizzare la forza della cultura che viene dal territorio e dal volontariato che in esso opera.
La rassegna è composta di 4 serate e si configura come evento di richiamo per gli amanti del teatro e della commedia; ogni venerdì a partire dal 17 marzo si aprono le porte al divertimento, all’energia, alla passione e all’impegno delle compagnie teatrali del territorio che si danno appuntamento al Cinema Italia.
La rassegna coinvolge compagnie teatrali del territorio che portano in scena loro commedie su testi esistenti ovvero da loro creati o ri-adattati. L’allestimento delle scene e le interpretazioni sono frutto del volontariato spontaneo.
La rassegna è composta di 4 serate e si configura come evento di richiamo per gli amanti del teatro e della commedia; ogni venerdì a partire dal 17 marzo si aprono le porte al divertimento, all’energia, alla passione e all’impegno delle compagnie teatrali del territorio che si danno appuntamento al Cinema Italia.
La rassegna coinvolge compagnie teatrali del territorio che portano in scena loro commedie su testi esistenti ovvero da loro creati o ri-adattati. L’allestimento delle scene e le interpretazioni sono frutto del volontariato spontaneo.
Questa impostazione (la volontà di far conoscere la cultura che nasce spontaneamente dal territorio) ci da la possibilità di far vivere questa realtà ad un pubblico più ampio che probabilmente non frequenta il teatro.
E’ il momento ideale per scegliere il teatro, che è per definizione “stabile”, ma è anche un’ode all’instabilità preziosa, quella di chi non si stanca mai di andare e di viverlo.
E’ il momento ideale per scegliere il teatro, che è per definizione “stabile”, ma è anche un’ode all’instabilità preziosa, quella di chi non si stanca mai di andare e di viverlo.
Programmazione Cinema Italia dal 28-02 al 05-03
A United Kingdom di A. Asante
1947. L’erede al trono del Botswana Seretse Khama sta terminando gli studi di giurisprudenza a Londra quando si imbatte nell’impiegata inglese Ruth Williams. È amore a prima vista, e poiché Seretse deve tornare in Africa per assumere il ruolo di re, i due decidono di sposarsi. Ma il resto del mondo non sembra pronto per quel matrimonio fra un capo tribù africano e una suddita dell’impero coloniale inglese.
Amma Asante, ex attrice, sceneggiatrice e regista inglese di origini ghanesi con un interesse per le relazioni fra coppie miste (la sua regia precedente, La ragazza del dipinto, narrava fra le altre cose l’amore fra una donna nera e un uomo bianco), segue la vicenda di due personaggi realmente esistiti che con la loro determinazione a superare i pregiudizi hanno esercitato un forte impatto sull’opinione pubblica mondiale, tanto da diventare un esempio di armonia razziale elogiato da Nelson Mandela.
Il film funziona soprattutto quando le vicende private di Seretse e Ruth fanno da cartina di tornasole al clima politico della loro epoca e da argine al contagio dell’apartheid che proprio allora si stava radicando in Sudafrica.
Il cliente di A. Farhadi
oscar 2017 miglior film straniero
Emad e Rana sono due coniugi costretti ad abbandonare il proprio appartamento a causa di un cedimento strutturale dell’edificio. Si trovano così a dover cercare una nuova abitazione e vengono aiutati nella ricerca da un collega della compagnia teatrale in cui i due recitano da protagonisti di “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller. La nuova casa era abitata da una donna di non buona reputazione e un giorno Rana, essendo sola, apre la porta (convinta che si tratti del marito) a uno dei clienti della donna il quale la aggredisce. Da quel momento per Emad inizia una ricerca dell’uomo in cui non vuole coinvolgere la polizia.
Asghar Farhadi torna a Teheran per proporre una vicenda in cui azione teatrale e quotidianità finiscono con il ritrovarsi in una specularità significante. Il regista fa sì che sin dall’inizio questa dimensione venga sottolineata facendo diretto riferimento alla messa in scena. Ci ricorda cioè la nostra posizione di spettatori invitandoci a leggere la duplice finzione (teatrale e cinematografica) e ad individuarne gli scambi.
Ozzy – cucciolo coraggioso di A. Rodriguez
Ozzy, un simpatico beagle, svolge una vita serena e idilliaca fino al giorrno in cui i suoi padroni, devono improvvisamente partire per il Giappone senza la possibilità di portarlo con loro. Profondamente addolorati, i Martins dovranno cercare una sistemazione temporanea per Ozzy e la scelta ricade su un canile extra lusso. Ma quello che all’apparenza sembra un paradiso di amore e coccole, si rivelerà ben presto una terribile prigione per cani, gestita da un proprietario malvagio. Ozzy dovrà trovare la forza di resistere e il coraggio di scappare grazie anche all’aiuto dei suoi nuovi amici a 4 zampe.
Jackie di P. Larrain
Sono passati cinque giorni dalla morte di John Kennedy e la stampa bussa alla porta di Jackie per chiedere il (reso)conto. Una relazione particolareggiata dei fatti di Dallas. Sigaretta dopo sigaretta, Jackie ristabilirà la verità e stabilirà la sua storia attraverso le domande di Theodore H. White, giornalista politico di “Life”. Una favola che il suo interlocutore redige e Jackie rilegge, rettifica, manipola, perfeziona per dire al mondo di Camelot, dell’arme, la dama e il cavaliere che fecero l’impresa e la Storia fino al declino della loro buona stella.
Tra la verità e la favola c’è Jackie. Quella di Pablo Larraín, isolata in una giornata d’autunno, dopo l’assassinio del consorte e prima del ritiro dalla vita pubblica. Un intervallo spazio temporale che l’autore cileno ricostruisce in un film storico-vestimentario, cercando l’identità personale dietro quella fittizia, lungo i corridoi e le stanze della Casa Bianca, sotto la seta e i tailleurs di crêpe, di fronte ai manichini inarticolati vestiti da Chanel. E nella silhouette di un manichino, che la protagonista osserva nelle vetrine di una boutique, batte il cuore di un ritratto inflessibile che si contrappone a quello rotondo di Neruda. Diversi nel segno le due opere procedono tuttavia vigorosamente tra Storia e finzione, dominati da una sorta di insolenza che soggiace al cinema dell’autore. Da una parte la celebrazione della creazione artistica, della sua aspirazione al sublime e dei suoi compromessi con la realtà (Neruda), dall’altra il gesto espressivo che sviluppa uno stile personale e costruisce un’immagine pubblica, una condotta verbale e non verbale fatta di gesti, acconciature, abiti, gioielli e attitudini (Jackie).
Alla maniera di Neruda, il carattere finzionale di Jackie è stabilito dalle prime sequenze, l’incontro tra Jackie e il giornalista di “Life” è ripartito in piani dislocati in décor differenti (la confessione col prete al cimitero, il tour alla Casa Bianca con CBS News, etc), che indicano l’impossibilità della ricostruzione fondata sulla sola memoria. L’incertezza è il fondamento stesso di Jackie. È quanto serve di base a una straordinaria creazione di finzione che Larraín consacra alla relazione intercorrente tra corpo e abito. Perché Jackie seppe esprimere come nessun’altra i messaggi inibiti dalla parola, trasformando la Casa Bianca in una maison di stile e di glamour, appropriandosi dei media dell’epoca, radio e televisione, intuendo l’importanza di un abito nella figurazione della propria identità e del proprio ruolo sociale, veicolando la politica del consorte e soffiando un vento nuovo sulla residenza presidenziale.
Foglietto Settimanale 26/02/2017 – 05/03/2017
Programmazione Cinema Italia dal 21-02 al 26-02
150 milligrammi di E. Bercot
Una pneumologa dell’ospedale universitario di Brest scopre un legame fra l’assunzione del farmaco Mediator e il decesso di alcuni suoi pazienti. Dopo aver sottoposto la possibilità di una correlazione di causa-effetto al gruppo di ricerca farmacologico della struttura, decide insieme a loro di chiedere all’Agenzia Francese del Farmaco di ritirarlo dal mercato, dove è venduto da una trentina d’anni. Ha inizio una guerra sproporzionata fra il piccolo team bretone, il Ministero della Salute e soprattutto il colosso farmaceutico che lo commercializza. Film ispirato ai fatti vissuti dalla dottoressa Irene Frachon tra il 2009 e 2010.
Emmanuelle Bercot voleva fare il medico. Lo ha rivelato in un’intervista confessando la sua passione, derivata dal padre chirurgo, di ospedali, sale operatorie e malattie. È finita per fare altro, ma pur da regista non si è fatta mancare la soddisfazione di osservare le gesta di una dottoressa assai determinata e combattiva. Affascinata più dal carattere bizzarro che non dalla professionalità della Frachon, ha messo in piedi un progetto ambizioso a cui ha lavorato per diversi anni e che tocca più il genere investigativo / giudiziario dentro al cinema di denuncia che non il medical drama.
Con un’ispirazione notevole, la Bercot non ha perso il senso del necessario equilibrio per affrontare non solo una delicatissima vicenda reale con protagonisti viventi, ma anche una tensione emotiva che altrove l’aveva fatta “sbandare”.
La bella addormentata (Bolshoi ballet)
Il balletto russo per il sonno di Aurora |
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Al compimento del suo sedicesimo compleanno, la maledizione della strega cattiva Carabosse fa cadere la bella principessa Aurora in un sonno lungo 100 anni. Solo il bacio di un principe potrà risvegliarla… Nella cornice della più magica delle favole, i ballerini del Bolshoi ci conducono in un viaggio da sogno con fate, regni incantati, giovani principesse e affascinanti principi, nel più classico stile del balletto. La sontuosa messa in scena del Bolshoi, con i suoi vestiti pregiati e le ricche scenografie, dà vita alla classica favola di Perrault come nessun altro Davvero da vedere! |
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Ballerina di E. Summer
Il nuovo film d’animazione diretto da Eric Summer e Éric Warin sarà ambientato nella Francia del 1884. Félice è una giovane adolescente piena di sogni e ambizioni il cui più grande desiderio è quello di poter danzare al Teatro Dell’Opera di Parigi. Tuttavia non ha una famiglia che la sostenga alle spalle ed è costretta a vivere in un orfanotrofio.
Un giorno lei, insieme al suo amico Corentin, decide di pianificare una fuga per poter andare a Parigi, nella speranza di poter finalmente realizzare i propri sogni.
Il cliente di A. Farhadi
candidato agli oscar 2017 miglior film straniero
Emad e Rana sono due coniugi costretti ad abbandonare il proprio appartamento a causa di un cedimento strutturale dell’edificio. Si trovano così a dover cercare una nuova abitazione e vengono aiutati nella ricerca da un collega della compagnia teatrale in cui i due recitano da protagonisti di “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller. La nuova casa era abitata da una donna di non buona reputazione e un giorno Rana, essendo sola, apre la porta (convinta che si tratti del marito) a uno dei clienti della donna il quale la aggredisce. Da quel momento per Emad inizia una ricerca dell’uomo in cui non vuole coinvolgere la polizia.
Asghar Farhadi torna a Teheran per proporre una vicenda in cui azione teatrale e quotidianità finiscono con il ritrovarsi in una specularità significante. Il regista fa sì che sin dall’inizio questa dimensione venga sottolineata facendo diretto riferimento alla messa in scena. Ci ricorda cioè la nostra posizione di spettatori invitandoci a leggere la duplice finzione (teatrale e cinematografica) e ad individuarne gli scambi..
A United Kingdom di A. Asante
1947. L’erede al trono del Botswana Seretse Khama sta terminando gli studi di giurisprudenza a Londra quando si imbatte nell’impiegata inglese Ruth Williams. È amore a prima vista, e poiché Seretse deve tornare in Africa per assumere il ruolo di re, i due decidono di sposarsi. Ma il resto del mondo non sembra pronto per quel matrimonio fra un capo tribù africano e una suddita dell’impero coloniale inglese.
Amma Asante, ex attrice, sceneggiatrice e regista inglese di origini ghanesi con un interesse per le relazioni fra coppie miste (la sua regia precedente, La ragazza del dipinto, narrava fra le altre cose l’amore fra una donna nera e un uomo bianco), segue la vicenda di due personaggi realmente esistiti che con la loro determinazione a superare i pregiudizi hanno esercitato un forte impatto sull’opinione pubblica mondiale, tanto da diventare un esempio di armonia razziale elogiato da Nelson Mandela.
Il film funziona soprattutto quando le vicende private di Seretse e Ruth fanno da cartina di tornasole al clima politico della loro epoca e da argine al contagio dell’apartheid che proprio allora si stava radicando in Sudafrica.
Foglietto Settimanale 19/02/2017 – 26/02/2017
Programmazione Cinema Italia dal 14-02 al 19-02
Il disprezzo di JL. Godard
versione originale sottotitolata in italiano
Lo scrittore e sceneggiatore Paul Javal (Michel Piccoli) viene chiamato da un potente produttore americano, Prokhosh, (Jack Palance), a riscrivere il copione di un film tratto dall’Odissea che al momento manca di appeal commerciale. La moglie di Paul, Camille (Brigitte Bardot), inizia a disprezzare il marito poiché, quest’ultimo, tollera e favorisce le avances che Prokosh inizia a farle fin dal loro primo incontro.
L’omonimo romanzo di Alberto Moravia è solo un pretesto, narrativo e produttivo, per realizzare una pellicola che amplia decisamente il raggio d’azione rispetto alle pagine del testo di partenza. Jean-Luc Godard compie una spietata e cinica analisi delle dinamiche di coppia, segnate da quell’incomunicabilità che tornerà a trattare nel successivo Il bandito delle undici (1965). Il regista costruisce un film, in parte, autobiografico e incentrato sull’opposizione tra vera arte (Omero) e prodotto commerciale (la pellicola hollywoodiana): il complesso rapporto con produttori attenti soltanto a dinamiche commerciali è un argomento che tocca Godard da vicino, e che avrà ancora un ruolo da protagonista nelle sue pellicole degli anni Ottanta, spesso incentrate, come Il disprezzo, su un film da farsi. Attraverso una confezione impeccabile, fatta di sinuosi movimenti di macchina e di ambientazioni suggestive (Villa Malaparte, a Capri), l’autore dà vita a una complessa riflessione sulla maestosità dell’arte classica (l’insistenza sulle statue) che oggi potrebbe essere proseguita dal cinema, rappresentato dall’amato Fritz Lang che veste i panni del regista dell’ipotetica Odissea. In fondo, Il disprezzo è soprattutto un grande omaggio alla bellezza della settima arte, simboleggiata anche dal fascino di una Brigitte Bardot ai massimi storici. Le sceneggiature si cambiano, i personaggi si modificano, persino la “diva” può morire, ma il cinema prosegue il suo cammino e non può fermarsi, come dimostra il magnifico finale. Camei di Raoul Coutard (direttore della fotografia) e Jean-Luc Godard, che appare davanti alla macchina da presa come aiuto regista. Ormai leggendari i tagli voluti da Carlo Ponti per l’edizione italiana, che hanno maciullato una delle pellicole più raffinate ed eleganti della prima metà degli anni Sessanta: il film venne rimontato, stampato con colori diversi da quelli voluti da Godard, modificato nella colonna sonora e accorciato di ben venti minuti. Come se non bastasse, nell’edizione originale ogni personaggio parla nella sua lingua, mentre nella versione (assassina!) nostrana ognuno comunica, ovviamente, in italiano.
Io, Claude Monet di P. Grasbky