MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA QUARESIMA 2014

Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (cfr 2 Cor 8,9)

Cari fratelli e sorelle,

in occasione della Quaresima, vi offro alcune riflessioni, perché possano servire al cammino personale e comunitario di conversione. Prendo lo spunto dall’espressione di san Paolo: «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9). L’Apostolo si rivolge ai cristiani di Corinto per incoraggiarli ad essere generosi nell’aiutare i fedeli di Gerusalemme che si trovano nel bisogno. Che cosa dicono a noi, cristiani di oggi, queste parole di san Paolo? Che cosa dice oggi a noi l’invito alla povertà, a una vita povera in senso evangelico?

La grazia di Cristo

Anzitutto ci dicono qual è lo stile di Dio. Dio non si rivela con i mezzi della potenza e della ricchezza del mondo, ma con quelli della debolezza e della povertà: «Da ricco che era, si è fatto povero per voi…». Cristo, il Figlio eterno di Dio, uguale in potenza e gloria con il Padre, si è fatto povero; è sceso in mezzo a noi, si è fatto vicino ad ognuno di noi; si è spogliato, “svuotato”, per rendersi in tutto simile a noi (cfr Fil 2,7; Eb 4,15). È un grande mistero l’incarnazione di Dio! Ma la ragione di tutto questo è l’amore divino, un amore che è grazia, generosità, desiderio di prossimità, e non esita a donarsi e sacrificarsi per le creature amate. La carità, l’amore è condividere in tutto la sorte dell’amato. L’amore rende simili, crea uguaglianza, abbatte i muri e le distanze. E Dio ha fatto questo con noi. Gesù, infatti, «ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past.Gaudium et spes, 22).

Lo scopo del farsi povero di Gesù non è la povertà in se stessa, ma – dice san Paolo – «…perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». Non si tratta di un gioco di parole, di un’espressione ad effetto! E’ invece una sintesi della logica di Dio, la logica dell’amore, la logica dell’Incarnazione e della Croce. Dio non ha fatto cadere su di noi la salvezza dall’alto, come l’elemosina di chi dà parte del proprio superfluo con pietismo filantropico. Non è questo l’amore di Cristo! Quando Gesù scende nelle acque del Giordano e si fa battezzare da Giovanni il Battista, non lo fa perché ha bisogno di penitenza, di conversione; lo fa per mettersi in mezzo alla gente, bisognosa di perdono, in mezzo a noi peccatori, e caricarsi del peso dei nostri peccati. E’ questa la via che ha scelto per consolarci, salvarci, liberarci dalla nostra miseria. Ci colpisce che l’Apostolo dica che siamo stati liberati non per mezzo della ricchezza di Cristo, ma per mezzo della sua povertà. Eppure san Paolo conosce bene le «impenetrabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8), «erede di tutte le cose» (Eb 1,2).

Che cos’è allora questa povertà con cui Gesù ci libera e ci rende ricchi? È proprio il suo modo di amarci, il suo farsi prossimo a noi come il Buon Samaritano che si avvicina a quell’uomo lasciato mezzo morto sul ciglio della strada (cfr Lc 10,25ss). Ciò che ci dà vera libertà, vera salvezza e vera felicità è il suo amore di compassione, di tenerezza e di condivisione. La povertà di Cristo che ci arricchisce è il suo farsi carne, il suo prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, comunicandoci la misericordia infinita di Dio. La povertà di Cristo è la più grande ricchezza: Gesù è ricco della sua sconfinata fiducia in Dio Padre, dell’affidarsi a Lui in ogni momento, cercando sempre e solo la sua volontà e la sua gloria. È ricco come lo è un bambino che si sente amato e ama i suoi genitori e non dubita un istante del loro amore e della loro tenerezza. La ricchezza di Gesù è il suo essere il Figlio, la sua relazione unica con il Padre è la prerogativa sovrana di questo Messia povero. Quando Gesù ci invita a prendere su di noi il suo “giogo soave”, ci invita ad arricchirci di questa sua “ricca povertà” e “povera ricchezza”, a condividere con Lui il suo Spirito filiale e fraterno, a diventare figli nel Figlio, fratelli nel Fratello Primogenito (cfr Rm 8,29).

È stato detto che la sola vera tristezza è non essere santi (L. Bloy); potremmo anche dire che vi è una sola vera miseria: non vivere da figli di Dio e da fratelli di Cristo.

La nostra testimonianza

Potremmo pensare che questa “via” della povertà sia stata quella di Gesù, mentre noi, che veniamo dopo di Lui, possiamo salvare il mondo con adeguati mezzi umani. Non è così. In ogni epoca e in ogni luogo, Dio continua a salvare gli uomini e il mondo mediante la povertà di Cristo, il quale si fa povero nei Sacramenti, nella Parola e nella sua Chiesa, che è un popolo di poveri. La ricchezza di Dio non può passare attraverso la nostra ricchezza, ma sempre e soltanto attraverso la nostra povertà, personale e comunitaria, animata dallo Spirito di Cristo.

Ad imitazione del nostro Maestro, noi cristiani siamo chiamati a guardare le miserie dei fratelli, a toccarle, a farcene carico e a operare concretamente per alleviarle. La miseria non coincide con lapovertà; la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza. Possiamo distinguere tre tipi di miseria: la miseria materiale, la miseria morale e la miseria spirituale. Lamiseria materiale è quella che comunemente viene chiamata povertà e tocca quanti vivono in una condizione non degna della persona umana: privati dei diritti fondamentali e dei beni di prima necessità quali il cibo, l’acqua, le condizioni igieniche, il lavoro, la possibilità di sviluppo e di crescita culturale. Di fronte a questa miseria la Chiesa offre il suo servizio, la sua diakonia, per andare incontro ai bisogni e guarire queste piaghe che deturpano il volto dell’umanità. Nei poveri e negli ultimi noi vediamo il volto di Cristo; amando e aiutando i poveri amiamo e serviamo Cristo. Il nostro impegno si orienta anche a fare in modo che cessino nel mondo le violazioni della dignità umana, le discriminazioni e i soprusi, che, in tanti casi, sono all’origine della miseria. Quando il potere, il lusso e il denaro diventano idoli, si antepongono questi all’esigenza di una equa distribuzione delle ricchezze. Pertanto, è necessario che le coscienze si convertano alla giustizia, all’uguaglianza, alla sobrietà e alla condivisione.

Non meno preoccupante è la miseria morale, che consiste nel diventare schiavi del vizio e del peccato. Quante famiglie sono nell’angoscia perché qualcuno dei membri – spesso giovane – è soggiogato dall’alcol, dalla droga, dal gioco, dalla pornografia! Quante persone hanno smarrito il senso della vita, sono prive di prospettive sul futuro e hanno perso la speranza! E quante persone sono costrette a questa miseria da condizioni sociali ingiuste, dalla mancanza di lavoro che le priva della dignità che dà il portare il pane a casa, per la mancanza di uguaglianza rispetto ai diritti all’educazione e alla salute. In questi casi la miseria morale può ben chiamarsi suicidio incipiente. Questa forma di miseria, che è anche causa di rovina economica, si collega sempre alla miseria spirituale, che ci colpisce quando ci allontaniamo da Dio e rifiutiamo il suo amore. Se riteniamo di non aver bisogno di Dio, che in Cristo ci tende la mano, perché pensiamo di bastare a noi stessi, ci incamminiamo su una via di fallimento. Dio è l’unico che veramente salva e libera.

Il Vangelo è il vero antidoto contro la miseria spirituale: il cristiano è chiamato a portare in ogni ambiente l’annuncio liberante che esiste il perdono del male commesso, che Dio è più grande del nostro peccato e ci ama gratuitamente, sempre, e che siamo fatti per la comunione e per la vita eterna. Il Signore ci invita ad essere annunciatori gioiosi di questo messaggio di misericordia e di speranza! È bello sperimentare la gioia di diffondere questa buona notizia, di condividere il tesoro a noi affidato, per consolare i cuori affranti e dare speranza a tanti fratelli e sorelle avvolti dal buio. Si tratta di seguire e imitare Gesù, che è andato verso i poveri e i peccatori come il pastore verso la pecora perduta, e ci è andato pieno d’amore. Uniti a Lui possiamo aprire con coraggio nuove strade di evangelizzazione e promozione umana.

Cari fratelli e sorelle, questo tempo di Quaresima trovi la Chiesa intera disposta e sollecita nel testimoniare a quanti vivono nella miseria materiale, morale e spirituale il messaggio evangelico, che si riassume nell’annuncio dell’amore del Padre misericordioso, pronto ad abbracciare in Cristo ogni persona. Potremo farlo nella misura in cui saremo conformati a Cristo, che si è fatto povero e ci ha arricchiti con la sua povertà. La Quaresima è un tempo adatto per la spogliazione; e ci farà bene domandarci di quali cose possiamo privarci al fine di aiutare e arricchire altri con la nostra povertà. Non dimentichiamo che la vera povertà duole: non sarebbe valida una spogliazione senza questa dimensione penitenziale. Diffido dell’elemosina che non costa e che non duole.

Lo Spirito Santo, grazie al quale «[siamo] come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto» (2 Cor 6,10), sostenga questi nostri propositi e rafforzi in noi l’attenzione e la responsabilità verso la miseria umana, per diventare misericordiosi e operatori di misericordia. Con questo auspicio, assicuro la mia preghiera affinché ogni credente e ogni comunità ecclesiale percorra con frutto l’itinerario quaresimale, e vi chiedo di pregare per me. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca.

Dal Vaticano, 26 dicembre 2013

Festa di Santo Stefano, diacono e primo martire

FRANCESCO

Il messaggio del vescovo Antonio per la Quaresima 2014

Pasqua, evento che sostiene il mondo

La Quaresima è il cammino della Chiesa – comunità dei discepoli di Cristo – verso la celebrazione della Pasqua di Cristo. Non si tratta semplicemente di ricordare un evento passato. In realtà, la Pasqua è il mistero centrale della storia, mistero divino-umano, sorgente inesauribile di luce e di vita che non si finisce mai di conoscere e di accogliere. Una verità di straordinaria profondità riguardante la Pasqua è che, alla luce della rivelazione biblica, questo evento costituisce l’asse che giustifica e regge il mondo. Non è affatto una iperbole. Nella prima Lettera di Pietro leggiamo queste parole: «Comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri. Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio» (1Pt 1,17-21). Gesù Cristo è l’Agnello pasquale – e questo risulta chiaramente dai testi del Nuovo Testamento – ma quello che colpisce è che fu “predestinato prima della fondazione del mondo”, cioè nell’eternità, nel disegno eterno del Padre – anche se si è manifestato nel tempo della storia. Qual è il significato dell’affermazione? È che Dio Padre ha creato il mondo fissando lo sguardo sull’Agnello immolato per noi e per la nostra salvezza. Questo equivale a dire che la Pasqua di Cristo è la ragione ultima della Creazione del mondo, l’evento, l’asse che regge il mondo e la storia. Analizzando questa affermazione troviamo due verità. Anzitutto, nello sguardo eterno di Dio, c’era la previsione del peccato dell’umanità, collegato alla finitudine e alla libertà dell’essere umano. Se Dio ha deciso, nonostante lo scandalo del male, – che Dio non potrebbe sopportare – di creare il mondo, è perché il suo Figlio, quale Agnello pasquale, l’avrebbe riparato e vinto con la sua immolazione di Amore ristabilendo la giustizia e l’ordine della creazione. All’origine del mondo e della storia c’è, dunque, un atto di Amore divino come immolazione e dono di sé, Amore che è più forte del male, della morte e dona la vita eterna. Comprendiamo allora le parole di Gesù rivolte al Padre nell’imminenza della Passione: «Tu mi hai amato prima della creazione del mondo» (Gv 17,24). E noi siamo stati «scelti in Cristo prima della creazione del mondo per trovarci davanti a Lui santi e senza macchia nell’amore» (Ef 1,4). L’evangelista Giovanni, a conclusione della Passione e Crocifissione di Cristo scrive: «Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto» (Gv 19,37). Lo sguardo che siamo invitati a fissare sull’Agnello immolato per noi dovrebbe essere: – uno sguardo di fede che crede e accoglie l’Amore di Dio – uno sguardo di amore che raggiunga, per quanto è possibile, la sorgente divina dell’Amore – uno sguardo di ringraziamento per tutti i beni che ci sono stati donati – uno sguardo di pentimento, perché con il peccato corrompiamo noi stessi e il mondo – uno sguardo di speranza fondata sull’Amore infinito e misericordioso di Dio.

Le tre colonne che sostengono l’esistenza cristiana fondata sulla Pasqua Il percorso di Iniziazione cristiana che stiamo proponendo in Diocesi sfocia nella partecipazione al mistero della Pasqua – che è il mistero di Cristo Agnello immolato e risorto – da cui deve continuamente attingere la forza della vita nuova in Cristo. Questa vita nuova possiamo pensarla come un edificio che poggia su tre colonne. È una concezione espressa da un antico detto ebraico: «Il mondo poggia su tre colonne: lo studio della Torà, il culto e le opere della misericordia» (cfr. Benoit Standaert, Le tre colonne del mondo. Il poco necessario, San Paolo, p.15). Esaminiamo queste tre colonne.

La prima colonna è lo studio, l’ascolto, la meditazione della Sacra Scrittura per coltivare e nutrire la fede Nel ben situarci e fare le scelte giuste nel mondo d’oggi – divenuto sempre più complesso e persino ingarbugliato – abbiamo bisogno di una luce interiore che ci faccia comprendere il senso vero della vita, l’orientamento da prendere su tante questioni. Abbiamo a disposizione la Sacra Scrittura, che è Parola di Dio e accolta con fede diventa luce che illumina il nostro cammino nella vita. La conoscenza che offrono le scienze e la cultura è una luce per la ragione, e la fede sa accoglierla, ma non è sufficiente per illuminare il mistero nascosto e il senso ultimo della vita. Nella storia, inoltre, si formano e si affermano, periodicamente, le ideologie, schemi teoretici che non rispecchiano la realtà, ma la deformano e la violentano. Valorizziamo il dono prezioso della Sacra Scrittura. La Sacra Scrittura occorre meditarla nel cuore. Per questo ci è necessaria la meditazione, e per meditare occorre prendere una decisione forte perché siamo presi e distratti da tante cose e spesso non siamo sensibili alle esigenze del nostro spirito. Proponiamoci in questa Quaresima di dedicare un tempo propizio alla meditazione della Sacra Scrittura. La Parola di Dio ascoltata e meditata nel cuore ci svela il volto e il cuore di Dio, ci introduce nel suo disegno sapiente di salvezza, ci indica il cammino della vera vita. Meditando la Sacra Scrittura incontriamo Gesù Cristo, Sapienza incarnata che afferma: «Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina nella tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). La Parola di Dio è “dolce come il miele” (cfr. Ez 3,3), ma è anche una “spada che trafigge” (cfr. Eb 4,12), perché ci dice la verità e sappiamo che la verità a volte brucia e trafigge. In effetti, la Parola di Dio mette a nudo le nostre meschinità e pusillanimità, gli inganni, le illusioni, la ricerca subdola dell’orgoglio e dell’egoismo, le ingiustizie e la mancanza di amore. Il suo scopo è condurci alla conversione del cuore e della vita. È di conversione che abbiamo immenso bisogno; è di uscire dalla superficialità, dai compromessi, dal torpore spirituale, dall’acquiescenza alle tendenze disordinate. Nel chiamarci a conversione, la Parola di Dio ci dispone alla preghiera e diventa essa stessa invocazione a Dio perché ci risani e ci infonda la forza per dare un nuovo orientamento alla nostra vita. Nell’iniziazione alla vita cristiana, occorre che presbiteri, educatori, catechisti pongano molta cura a edificare questa colonna. Per questo devono, anzitutto, aver cura di averla essi stessi ben piantata nella loro vita. È proprio così? Una proposta di grande valore che, in questa ottica, desidero incoraggiare sono i “centri di ascolto” del Vangelo in seno alla famiglia, dove genitori e figli leggono e meditano insieme la Sacra Scrittura. È un’esperienza molto bella. Invito coloro che non l’hanno ancora fatto a programmare questa proposta. L’Ufficio per la Catechesi e l’evangelizzazione e l’Apostolato biblico della Diocesi hanno preparato dei sussidi. Cerchiamo di utilizzarli. La comunità – se vuole davvero essere grembo che genera alla fede – non può mancare di proporre nel tempo forte di Quaresima esperienze di Lectio divina. Tenuto conto, poi, dell’ampia diffusione del social network, utilizziamo anche la rete informatica per proporre la Parola di Dio da accogliere e meditare ogni giorno. È questo il senso dell’iniziativa “Un attimo di pace”. La Parola di Dio interiorizzata e divenuta luce di esperienza ci fa passare da un rapporto binario con le persone e le realtà a un rapporto ternario-circolare. Cerco di spiegarlo: rapporto binario è quando noi ci poniamo davanti agli altri e alle cose sul piano orizzontale e interpretiamo secondo criteri semplicemente umani, a volte o spesso ispirati da pregiudizi, passioni e interesse. Nel rapporto ternario-circolare, invece, introduciamo nel piano orizzontale anche quello verticale, vale a dire interpretiamo la realtà alla luce della Parola di Dio, in concreto di Gesù Cristo e del Vangelo. Allora vediamo e giudichiamo in una luce diversa, quella più vera. È così che possiamo avere uno sguardo profetico.

La seconda colonna è la preghiera personale e liturgica Ho già accennato alla preghiera in relazione alla meditazione della Parola di Dio. Accogliamo la Quaresima come grazia di riscoprire e intensificare la preghiera. Insieme alla preghiera personale, siamo chiamati a coltivare la preghiera liturgica. Il compito di edificare o consolidare questa colonna pone di fronte a una sfida. Conosciamo il divario che si è prodotto tra l’“andare al catechismo” e il partecipare alla santa messa. Sono principalmente giovani e adulti che disertano l’Eucaristia domenicale. Siamo dinanzi a un serio problema che ci interpella a riscoprire il senso profondo della celebrazione liturgica come luogo di un’intensa esperienza di fede che alimenta la vita. La Liturgia ci educa al senso della comunità, dell’essere popolo in cammino nella storia verso il Regno perfetto di Dio, facendoci uscire dall’individualismo e dall’isolamento. La celebrazione liturgica non è una semplice cerimonia esteriore; il rito contiene ed esprime la presenza di Dio, rende presente e attualizza la Pasqua e la salvezza operata da Cristo per noi e per l’umanità; è una sorgente di vitalità. È questo il cuore della Liturgia; non è evasione dalla vita, ma una sorgente di vita divina per la nostra vita. Nella Liturgia veniamo realmente in contatto con Gesù Cristo, l’Agnello immolato e risorto per la salvezza del mondo. Nella Liturgia, e specialmente nell’Eucaristia, ci dona tutto se stesso e il suo Amore, la sua misericordia senza limiti. Una difficoltà particolare è data dal fatto che la Liturgia si compie attraversosegni e simboli. È necessario quindi introdurre alla conoscenza simbolica. Questo è uno dei compiti dell’Iniziazione cristiana. C’è un punto particolare che vorrei mettere in risalto riguardo alla Liturgia. Un problema fondamentale della nostra vita e della storia è quello del bene e del male. La domanda-chiave è questa: siamo noi capaci, con la sola nostra ragione umana e con le nostre forze di praticare il bene e non commettere il male? L’esperienza stessa ci dice che è impossibile. La nostra vita e tutta la storia è una lotta tra il bene e il male. Il bene, che è verità-giustizia-amore-speranza, edifica e dà gioia; il male è disordine, corrompe, distrugge e produce sofferenza. Ogni giorno i media e noi stessi siamo messi di fronte all’esperienza del male in tante sue espressioni. Sempre di più lo Stato ricorre a forme di controllo, dissuasione e repressione per prevenirlo e combatterlo; ma senza minimamente eliminarlo. Anche noi cristiani – che non siamo costituiti in grazia – abbiamo bisogno di attingere alle sorgenti della Liturgia per resistere alle tentazioni, evitare il male e tendere alla santità. “Attingiamo dunque con gioia alle sorgenti della salvezza” (cfr. Is 12,3) e cerchiamo, in questa Quaresima, di riscoprire il senso, la bellezza e la forza che infonde la partecipazione ai divini misteri.

La terza colonna è l’esercizio della carità «La fede opera attraverso la carità» (Gal 5,6). Nel sacramenti dell’Iniziazione cristiana si riceve un “cuore nuovo” che è la carità riversata in esso dallo Spirito Santo. La carità è il modo di amare di Dio, manifestato da Gesù: amore come dono di sé disinteressato e oblativo. Questa è anche la “legge nuova” infusa nel cuore nuovo: amare Dio con tutto il cuore, amare il prossimo come se stessi, al modo di Gesù.L’Iniziazione cristiana deve portare come frutto la carità. Non c’è “nuova evangelizzazione” senza la conversione al “cuore nuovo”, espresso dalla carità. È da convertire alla carità il narcisismo che ricerca se stesso, l’impulso erotico che ricerca solo il proprio piacere, la ricerca del proprio interesse a scapito del bene comune, la paura di assumere le esigenze dell’amore nel matrimonio. Senza carità non c’è gioia. Dal “cuore nuovo” trasformato dalla carità scaturiscono le scelte etiche e le opere di carità e di misericordia, per attuare le esigenze dettate dalla Parola di Dio. Già i profeti dell’Antico Testamento hanno levato la voce contro la separazione tra culto e opere di carità, hanno denunciato l’ingiustizia delle strutture sociali e la corruzione, hanno dato voce al povero, all’oppresso, a chi è stato calpestato nella sua dignità e nei suoi diritti, hanno smascherato condotte riprovevoli eseguite sotto la copertura della religione e della ragione di Stato. Ne derivano dei compiti precisi per ciascuno di noi e per la comunità cristiana. Anzitutto la pratica coerente della giustizia e della carità all’interno delle comunità cristiane. Questo richiede, ad esempio, il retto funzionamento del Consiglio per la gestione economica; la valorizzazione della Caritas col suo ruolo pedagogico e operativo. In secondo luogo dovremo convertirci a uno stile di sobrietà nel cibo, nel vestire, nei servizi, evitando gli sprechi che, purtroppo, sono diffusi. Una delle proposte ricche di significato della Quaresima è il digiuno che, nella tradizione biblica e ecclesiale, è stato sempre collegato alla carità: chi digiuna si priva del cibo e di altri beni per darli ai poveri. Vorrei invitarvi alla rinnovata e motivata pratica del digiuno. Per l’esercizio delle opere di carità ci viene proposta la Quaresima di fraternità che è una proposta di animazione, promossa dal Centro missionario diocesano, rivolta a tutte le parrocchie della Diocesi e a tutte le categorie, per preparare adeguatamente il “Tempo Quaresimale” con spirito missionario. La Quaresima di fraternità è anche il periodo in cui volgiamo l’attenzione verso i molti progetti portati avanti dai 745 missionari padovani distribuiti nel mondo tra cui si contano i fidei donum che operano nelle missioni diocesane in Brasile, in Ecuador, in Kenya e in Thailandia.

Dare robusta consistenza alla vita Queste tre colonne, se poniamo cura a edificarle, conferiscono una robusta consistenza alla vita, infondono un’elevata ispirazione e motivazione all’impegno, sostengono nelle fatiche e nelle sofferenze, alimentano l’amore, aprono alla speranza. Sono una risposta alle situazioni di fragilità, di vuoto, di smarrimento e fanno nascere la gioia. Vorrei ricordare le parole di Papa Francesco: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (EG, 1).Accogliamo la grazia che Dio ci dona con la Quaresima. Usciamo dal torpore spirituale e dalla mollezza di volontà. Cristo ci ama. Apriamogli il cuore, accogliamolo.

+ Antonio Mattiazzo