Programmazione Cinema Italia dal 30-05 al 04-06

Programmazione Cinema Italia dal 30-05 al 04-06

 

This beautiful fantastic di Simon Aboud
Fuori concorso al BBC First British Film Festival in Australia, al New British Film Festival Russia e al Palm Springs International Film Festival.
Bella Brown è un’eccentrica ragazza londinese che, appassionata di letteratura, lavora in una nota libreria della città sognando un giorno di scrivere e illustrare un libro per bambini. Ritrovata abbandonata nel cuore di Hyde Park da neonata, Bella è crescita sviluppando una serie di manie compulsive e altre fobie che l’hanno portata, tra le altre cose, a non curare minimamente il giardino sul retro della sua abitazione. La sua routine quotidiana, spesso sconnessa dal resto del mondo, è interrotta bruscamente proprio quando il padrone di casa, dando seguito alle lamentele di un suo anziano vicino, le impone di rimediare al grave stato di degrado in cui ha lasciato il giardino minacciandola di sfratto. Ad aiutare Bella a superare le sue paure e a far rivivere fiori e piante abbandonate da tempo, è lo stesso vicino di casa, Alfie Stephenson, che accetta di condividere con lei le sue conoscenze da orticoltore grazie all’intercessione del suo maggiordomo e cuoco personale Vernon, facendole quindi da mentore e fonte d’ispirazione. Nel frattempo, in libreria Bella fa la conoscenza di un inventore quasi altrettanto eccentrico, il costruttore di “animali meccanici stravaganti” Billy, tra le cui un uccello che riesce a volare alimentato dal chiaro di luna. Tra i due si svilupperà presto una forte intesa romantica..
 
Maurizio Cattelan: be righe back di Maura Axelrod
Fuori concorso al Tribeca Film Festival 2017.
 
Prendete uno degli artisti più irriverenti, provocatori e geniali degli ultimi anni. E provate a immaginarvi cosa accadrebbe se tentaste di raccontare la sua carriera dirompente. Nell’impresa si è cimentata la regista Maura Axelrod che in Maurizio Cattelan: Be Right Back racconta uno dei personaggi più ironici dell’arte del nostro tempo, intervistando curatori, collezionisti, luminari del mondo dell’arte (ed ex-fidanzate) su ciò che rende unico l’autore di opere come La nona ora (che mostra Papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite) e Him (che ritrae Hitler in ginocchio, come uno scolaretto intento a pregare).
Dopo un periodo in cui si è specializzato in opere basate sulla tassidermia, Cattelan ha cominciato infatti a creare statue di cera a grandezza naturale dedicate a personaggi famosi: da qui sono nati alcuni dei suoi pezzi più celebri, come la sua Untitled, in cui da un buco nel pavimento esce l’autoritratto dell’artista. Maurizio Cattelan: Be Right Back ci accompagna in un viaggio vertiginoso in compagnia dell’uomo che, dalla fine degli anni Ottanta ad oggi, ha scosso il mondo dell’arte contemporanea con una serie di installazioni dirompenti a partire dalla celebre “Torno subito”, che prende il nome dal cartello che Cattelan aveva attaccato al muro della galleria che doveva ospitare la sua esposizione. Per arrivare sino ai manichini di bambini impiccati a un albero a Milano, a L.O.V.E (una mano aperta con un solo dito, il medio, che si staglia davanti alla Borsa di Milano) e a Daddy Daddy, un coloratissimo Pinocchio di Walt Disney affogato in una piscina. Tra i protagonisti del film anche Massimiliano Gioni, critico d’arte e direttore associato del New Museum of Contemporary Art di New York. I due diventano amici quando nel 1998 Gioni deve intervistare Cattelan per la rivista Flash Art.
Per ogni domanda Cattelan cerca una risposta online, riciclando frasi altrui. Si divertono così tanto che l’artista propone a Gioni di rilasciare una serie di interviste al suo posto, diventando in qualche modo la sua controfigura. Cosa che accade in numerose occasioni, divenendo a sua volta una performance.
Del resto nel corso della sua carriera ventennale, Maurizio Cattelan – nato a Padova nel 1960 da una famiglia modesta – non ha mai smesso di stupire come ha dimostrato anche Maurizio Cattelan: All, la retrospettiva del 2011 a lui dedicata dal Guggenheim Museum di New York, che ne ha consacrato definitivamente il successo. Così quello di Maura Axelrod si trasforma in un ritratto divertente e appassionato per capire chi sia davvero Maurizio Cattelan, dalle origini a oggi. Con tutta l’ironia che lo caratterizza..
 
Richard – Missione Africa di Toby Genkel
Fuori concorso al Festival di Berlino 2017.
Quando l’uovo si schiude e Richard apre gli occhi sul mondo per la prima volta, i suoi genitori non ci sono più e, al loro posto, il neonato passerotto trova la cicogna Aurora, che lo porta nel suo nido e lo cresce come un figlio. Col sopraggiungere dell’autunno, però, le cicogne dello stormo di Aurora, del suo compagno Claudius e del loro cucciolo Max, devono partire verso l’Africa, per sfuggire al freddo e obbedire alla loro natura. Anche se costa loro moltissimo, devono abbandonare Richard: non sopravviverebbe al viaggio. Ma il passero non ci sta: convinto di essere una cicogna, parte intrepido verso Sud, deciso a ricongiungersi con la sua famiglia.
Frutto di una task force tutta europea (Germania, Belgio, Lussemburgo, Norvegia), il film vola giustamente basso: come il passerotto protagonista deve fare i conti con le proprie forze, ma, anziché un limite, questo approccio si trasforma in virtù, contribuendo a mantenere le peripezie esposte su un piano credibile, per quanto straordinario. Attorno, le figure di contorno si dividono tra macchiette più di servizio che altro (i corvi mafiosi di Sanremo, il barista carceriere di Kiki) e personaggi minori ma non per efficacia, come Max, che porta il sentimento, e i piccioni “on line”, esilaranti emblemi satirici della dipendenza da social network.
Richard – Missione Africa, infine, è anche e soprattutto la storia di una migrazione, pericolosa ma obbligata: una storia che, in Europa, in questi anni, porta con sé, per forza di cose, un significato in più
 
Sette minuti dopo la mezzanotte di J.A. Bayona
Vincitore dei premi Goya 2017 e del Platinum Grand Prize al Future Film Festival 2017.
“7 minuti dopo la mezzanotte” è un film del regista spagnolo Juan Antonio Bayona, autore di film di successo come “The Orphanage” e “The Impossible”. La pellicola è l’adattamento dell’omonimo libro per bambini scritto da Patrick Ness, qui in veste di sceneggiatore.
Il Giovane Conor O’Malley vive un’infanzia molto difficile per la madre malata di cancro, perché lui stesso è vittima di bullismo a scuola e a causa un rapporto conflittuale con la nonna e il padre. L’unica cosa che porta sollievo al giovane è il disegno, nel quale può dare sfogo all’incredibile fantasia propria di un bambino.
Una notte, esattamente 7 minuti dopo la mezzanotte, viene a fargli visita un mostro molto particolare: privo di artigli o denti aguzzi; è un albero dalla forma umanoide, senza cattive intenzioni. Questo stringe un patto particolare con il giovane: gli racconta tre storie vere se in cambio Conor ne racconterà una che spieghi la sua verità.
Tre affascinanti racconti di formazione che permetteranno al giovane di comprendere la complessità dell’animo umano. L’incontro con questa creatura permetterà al giovane di affrontare la malattia terminale di sua madre e a convivere con la propria solitudine.
Il regista spagnolo ha scelto per il film un promettente cast hollywoodiano, tra cui Felicity Jones, nota maggiormente per i suoi ruoli in “La teoria del tutto”, “Rogue One: A Star Wars Story” e “Inferno”, stella nascente pronta a brillare. L’altra donna di “7 minuti dopo la mezzanotte” è Sigourney Weaver, attrice affermata e acclamata per tantissime interpretazioni, come “Ghostbuster” e “Avatar”. Poche presentazioni, dato che il nome parla già da sé per Liam Neeson, il Padre Feereira del “Silence” di Martin Scorsese, qui ‘nei rami’ dell’albero mostro.
La pellicola è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 2011, vincitore nel 2012 della Carnegie Medal e della Kate Greenaway Medal per il miglior libro per bambini, scritto da Patrick Ness, anche sceneggiatore del film.

Programmazione Cinema Italia dal 23-05 al 28-05

Sasha e il Polo Nord di Rémi Chayé
Vincitore del premio del pubblico al Festival di Annecy 2016
Presentato al Future Film Festival
Dopo i passaggi festivalieri, arriva nelle sale con la PFA il più che convincente esordio alla regia di Rémi Chayé. Il percorso artistico di Chayé, storyboarder e assistente alla regia di The Secret of Kells e La tela animata, si rispecchia perfettamente nelle scelte di character design, nella predominanza dei colori sulle linee, nella elevata valenza pittorica di molte tavole e nella qualità dello script di questa opera prima. Romanzo di formazione, avventura ed esplorazione, Sasha e il Polo Nord (Tout en haut du monde) è l’ennesima dimostrazione della qualità ed estrema vivacità del cinema d’animazione transalpino. L’animazione tradizionale è vivissima.
Sasha, una giovanissima aristocratica russa alla fine del XIX secolo, sogna il Grande Nord e si strugge per suo nonno Oloukine, un rinomato scienziato ed esploratore dell’Artico che non ha mai fatto ritorno dall’ultima esplorazione alla conquista del Polo Nord. Lui ha trasmesso la sua vocazione a Sasha che certo non sta soddisfacendo le aspettative dei genitori, che già hanno organizzato per lei le nozze. Sasha si ribella a questo destino e decide di raggiungere Oloukine verso il Grande Nord… [sinossi]
Ancora la Francia. Sasha e il Polo Nord, aka Tout en haut du monde/Long Way North, conferma la dinamicità ed elasticità produttiva e artistica dell’industria animata transalpina, qui alle prese con un’opera prima e con una coproduzione con la Danimarca. Un’opera prima che non casca dalle nuvole: il percorso artistico di Rémi Chayé, storyboarder e assistente alla regia degli imprescindibili The Secret of Kells e La tela animata, si rispecchia perfettamente nelle scelte di character design, nella predominanza dei colori sulle linee, nella elevata valenza pittorica di molte tavole e nella qualità dello script. Insomma, talento grafico, messa in scena e un raffinato gusto per la narrazione – letteratura per ragazzi, d’avventura e d’esplorazione che prende per mano lo spettatore e lo porta in giro per il mondo, come un Michele Strogoff per ragazzini e in gonnella [1].
Sasha e il Polo Nord è un gioiellino da difendere a spada tratta. Allo spirito avventuroso di pellicole come Le avventure di Zarafa – Giraffa giramondo, che gli sceneggiatori Claire Paoletti e Patricia Valeix rendono più compatto e maturo, Chayé aggiunge affascinanti scelte cromatiche ed estetiche. Si rintraccia, come detto, la predominanza dei colori sulle linee de La tela animata di Jean-François Laguionie, ma ci piace pensare e risalire all’abbacinante Fehérlófia (1981) dell’ungherese Marcell Jankovics: un’animazione che non rinuncia mai all’arte e alla narrazione, che rivendica le proprie radici culturali, produttive ed estetiche. Pur non spingendosi fino alle sperimentazioni visive di Jankovics, e abbracciando una chiarezza didascalica sia nello script che nelle immagini, Chayé mette in mostra un’animazione che non si preoccupa dei dettagli ma che deflagra nei campi lunghi, nei totali, nei paesaggi e nei volti tondeggianti e delicati dei giovani protagonisti.
Sasha e il Polo Nord non insegue il fotorealismo o un’impeccabile fluidità dei movimenti, ma cerca di riempire lo sguardo degli spettatori con i colori e i loro accostamenti. Sasha e il Polo Nord è animazione impressionista che si mette a servizio di una narrazione puskiniana: l’ipercromatismo, accompagnato da un comparto sonoro scarno ma efficace e da alcune sottili intuizioni di sceneggiatura (ad esempio, la mano di Sasha che accarezza il mappamondo, facendolo girare e prefigurando l’imminente avventura), nasce dal bianco e riesce a dare un senso compiuto a ogni singola tavola, a ogni passaggio narrativo e psicologico. Illuminante, per l’utilizzo del bianco e degli altri colori, la sequenza del treno che si allontana verso l’orizzonte, tra il verde dei prati, l’azzurro del cielo e le candide nuvole.
Trailer ita:  https://www.youtube.com/watch?v=Gqr9bm0T3PI
Materiali stampa: http://www.pfafilms.com/lista-film/catalogo-distribuzione/155-sasha-e-il-polo-nord.html
 
Bandiza – storie venete di confine di A. Padovese
La serata del 23 maggio, in concomitanza all’evento Alle Radici della Vita, saranno presenti in sala il regista Alessio Padovese, lo scrittore Renzo Mazzaro e Legambiente Riviera del Brenta.
Bandiza era il termine con cui si indicava il confine fra due province, nel film-documentario  è la frontiera spazio-temporale tra le storie raccontate. Il film-documentario fa vedere un territorio devastato da uno dei peggiori inquinamenti in Italia e nell’intera Europa, una terra dei fuochi nordestina: fumi degli inceneritori, polluzione dovuta al traffico o a industria pesante. Inoltre mostra opere che consumano contrade, ambiente e persone. Dalle montagne delle Dolomiti bellunesi, dalle foci del fiume a Rovigo, alla pianura padana, alle città del Veneto.
All’ inizio del documentario un bambino, stanco del traffico, conta i tir che passano vicino  alla sua casa, dai 500 ai 1000 al giorno. Ha in testa un rumore continuo, giorno e notte, insopportabile e si chiede quale sarà il suo futuro.
Un esempio di disastro, fra i tanti: sotto il manto della Valdastico Sud ci sarebbero veleni cancerogeni. Sarebbero scarti di provenienti dalle acciaierie, non trattati e quindi pericolosi per la presenza di cromo esavalente: 150 mila i metri cubi di veleni per quindici chilometri.
Non esiste ancora una mappa dettagliata dei punti inquinati e sembra esserci anche il rischio di una chiusura dell’autostrada, con sventramento dell’asfalto e bonifica. Decisivo sarà il rapporto dell’ARPAV ai magistrati per far vedere l’ inquinamento della falda acquifera.
Si è data voce a storie venete, di grande peso sociale, di persone alle quali è stata rubata  la possibilità di avere un sostentamento economico, senza la possibilità di lavorare, con la consapevolezza di aver perso tutto. Bandiza è stato proiettato in varie realtà venete, il prossimo 15 gennaio verrà proiettato a Montebelluna, aiutando a prendere coscienza di quanto sopra.
Hanno partecipato al film-documentario, vari movimenti, comitati ed organizzazioni tra i quali: M5s, Slow Food, Lasciateci respirare, Opzione Zero, WWF, Decrescita Felice, Lega Ambiente, Energo Club. Interessante e importante per i contenuti, l’intervista allo scrittore/giornalista Renzo Mazzaro autore del libro “I padroni nel Veneto”.
 
On the milky road – Sulla via lattea
di Emir Kusturica
MENZIONE SPECIALE , PREMIO SIGNIS E LEONCINO D’ORO AGISCUOLA ALLA 73. MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2016).
Tra realismo e di visionarietà, Emir Kusturica torna sulla guerra balcanica e dirige Monica Bellucci in una delle più efficaci interpretazioni della sua carriera.
Primavera in tempo di guerra in quella che fu la Jugoslavia. Un lattaio attraversa quotidianamente i campi di battaglia cavalcando il suo asino e sfuggendo al tiro incrociato dei fronti opposti. Nel villaggio in cui vive c’è una ragazza che lo vorrebbe sposare e che, nel frattempo, sta organizzando il matrimonio per il fratello eroe di guerra. Per far ciò ha fatto arrivare una donna di madre italiana e padre serbo che attrae immediatamente l’attenzione del lattaio. Ha inizio così una storia di passione che deve confrontarsi con la follia del conflitto armato.
“L’unica cosa che abbia un senso è amare qualcuno, come si può”. Questa frase, pronunciata da una Monica Bellucci in una delle più efficaci interpretazioni della sua ormai lunga carriera, ci dice come Kusturica, qui anche attore protagonista, torni a leggere il conflitto che ha insanguinato la sua patria sotto una nuova luce. Il suo è un cinema che si innerva da sempre su un mix di realismo e di visionarietà ma mai come in questa occasione il rapporto uomo-donna si è andato ad opporre alla devastazione causata dall’uomo armato. Il suo lattaio che caracolla con asino e ombrello (quasi novello Trinità) tra le pallottole è un innocente sopravvissuto a perdite cruente ma capace di ‘leggere’ la Natura. Perché qui gli animali (con in primo piano un falco pellegrino e un serpente) fanno da controcanto all’impazzimento degli uomini sin dalle prime inquadrature. Ci sono oche che sguazzano nel sangue di un maiale sgozzato così come ci saranno pecore chiamate al sacrificio o una gallina impazzita che rivaleggia con la propria immagine allo specchio.
Ci sono poi ‘loro’: un uomo e una donna che cercano di sfuggire a una realtà in cui anche la misurazione del tempo è divenuta assurda (c’è chi ha ai polsi due orologi mentre un altro orologio enorme fa di tutto tranne segnare l’ora). Il loro avvicinarsi ha origine da vite non facili che trovano una modalità di comunicazione che supera il contingente. Ecco allora che il testo ad epigrafe che apre il film: “Tratto da tre storie vere e da molta fantasia” trova attraverso i loro corpi una conferma. Perché si può essere certi che Kusturica abbia attinto a fatti realmente accaduti in quello che è stato uno dei più sanguinosi conflitti della storia recente. Così come si può avvertire quasi a pelle il suo bisogno di trasfigurarlo in immagini che consentano ai suoi protagonisti di andare ‘oltre’ l’orrore per cercare insieme una liberazione da ciò che non si può più sopportare. Non sono solo gli uccelli a volare in questo film che ci regala un finale che, come accadde per Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera di Kim Ki-Duk, è destinato a rimanere nella memoria
 
This beautiful fantastic di Simon Aboud
Fuori concorso al BBC First British Film Festival in Australia, al New British Film Festival Russia e al Palm Springs International Film Festival.
Bella Brown è un’eccentrica ragazza londinese che, appassionata di letteratura, lavora in una nota libreria della città sognando un giorno di scrivere e illustrare un libro per bambini. Ritrovata abbandonata nel cuore di Hyde Park da neonata, Bella è crescita sviluppando una serie di manie compulsive e altre fobie che l’hanno portata, tra le altre cose, a non curare minimamente il giardino sul retro della sua abitazione. La sua routine quotidiana, spesso sconnessa dal resto del mondo, è interrotta bruscamente proprio quando il padrone di casa, dando seguito alle lamentele di un suo anziano vicino, le impone di rimediare al grave stato di degrado in cui ha lasciato il giardino minacciandola di sfratto. Ad aiutare Bella a superare le sue paure e a far rivivere fiori e piante abbandonate da tempo, è lo stesso vicino di casa, Alfie Stephenson, che accetta di condividere con lei le sue conoscenze da orticoltore grazie all’intercessione del suo maggiordomo e cuoco personale Vernon, facendole quindi da mentore e fonte d’ispirazione. Nel frattempo, in libreria Bella fa la conoscenza di un inventore quasi altrettanto eccentrico, il costruttore di “animali meccanici stravaganti” Billy, tra le cui un uccello che riesce a volare alimentato dal chiaro di luna. Tra i due si svilupperà presto una forte intesa romantica..

Programmazione Cinema Italia dal 16-05 al 21-05

Planetarium di R. Zotlowski

FUORI CONCORSO ALLA 73. MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2016)
Laura (Natalie Portman) e Kate (Lily-Rose Depp), alla vigilia della II Guerra Mondiale, sono due sorelle che si guadagnano da vivere con sedute spiritiche private e in teatro. Quando il loro peregrinare le porta a Parigi, incontrano il produttore cinematografico Andre (Emmanuel Salinger), che decide di ospitarle in casa propria, ossessionato dall’idea di riuscire a cogliere su pellicola le esperienze extrasensoriali. Mentre i poteri di Kate diventano l’ossessione di Andre, Laura diventa un’attrice quasi per caso.
Opera terza di Rebecca Zlotowski, anche coautrice della sceneggiatura con Robin Campillo, Planetarium è un film dalle molteplici anime, che la regista affronta con una temerarietà che le si deve riconoscere. I diversi temi s’intrecciano, richiedendo alla macchina cinematografica, in montaggio e immagine, di adeguarsi alle deviazioni mentali che la Zlotowski apre allo spettatore. Si parte con l’idea di una dimensione extrasensoriale, legata alla morte, all’assenza e al rimpianto. Si prosegue innestando una riflessione sul cinema, sulla sua illusione, ma anche sulla sua sostanziale somiglianza con l’esperienza esoterica di cui sopra. Si aggiunge una dimensione di erotismo non sempre esplicito, ma forte anche sottotraccia. Si approda al dramma sociale dell’antisemitismo, quando l’inseguimento del senso della vita e della morte, che ha caratterizzato il percorso di tutti i personaggi, deve piegarsi all’annullamento della guerra.
L’autrice divide col cast il compito di affrontare l’impresa: soprattutto Natalie Portman, che conferma una presenza scenica magnetica, e ha scelto di persona Lily-Rose Depp (funzionale). Ruba però la scena Emmanuel Salinger, dolente e stralunato, poco divo rispetto al Louis Garrel qui in un ruolo minore, ma all’altezza della lucida alienazione che si richiede al suo personaggio.
Se però fosse sempre così semplice mescolare registri e tematiche, il panorama cinematografico sarebbe più vario: Planetarium è sicuramente un film che stimola l’attenzione dello spettatore, diviso tra la curiosità e il tentativo di decifrare i messaggi che la Zlotowski cerca di non spiegare mai troppo. Tanta attenzione però sul lungo termine stanca, perché non viene compensata da un coinvolgimento emotivo equivalente a quello razionale: si passa più tempo a riflettere su Planetarium che ad emozionarsi per i suoi protagonisti. Quando la sceneggiatura chiama a raccolta il dramma e le lacrime vere nel finale, qualcosa non funziona, perché la voglia di sfaccettare il film ha già preso il sopravvento su una comunicazione classica.
La tenerezza di Gianni Amelio
“La Tenerezza” narra una storia ambientata a Napoli, ma una Napoli lontana dagli scenari della malavita organizzata: stavolta le vicende hanno luogo fra le mura di una famiglia borghese, in un ambiente  familiare in cui le gioie si uniscono a momenti di profondo sconforto e violenza, dove un padre vive con dei figli che purtroppo non ama.
I figli in questione sono due bambini, fratello e sorella, in costante conflitto tra loro, vittime di un clima familiare poco stabile, dove possono soltanto osservare ciò che accade, senza poter assolutamente reagire.
La vita che all’apparenza può sembrare felice, nasconde delle pieghe e delle sfaccettature di pura tragedia. Il dolore è tanto, ma la speranza è l’ultima a morire.
“La Tenerezza” è un film che ben rappresenta il continuo fluire di sentimenti, tra persone diverse, che sembra facciano di tutto per allontanarsi da qualsiasi forma di affetto. Abbiamo un padre che non ama i suoi figli, che vittime della freddezza familiare hanno un rapporto contrastante. Sentimenti che sfumano nel sorriso ma anche nella violenza.
Ma il titolo non è ingannevole, il regista Gianni Amelio ha dichiarato: “Io credo che il bisogno di tenerezza si abbia nei momenti di tragedia quando qualcuno è bombardato da tanti problemi: la tenerezza è un bisogno, è un bisogno darla ma soprattutto riceverla!”. Parole che riassumono il senso del film, che parla d’amore, di storie d’amore che si incrociano e che ha un cast ‘perfetto’, almeno così lo definisce lo stesso director.
Un film, questo, riconosciuto di interesse culturale, con il contributo economico del ministero dei beni e delle attività culturali del ‘turismo-direzione generale cinema’. L’idea di questa pellicola, che unisce insieme la componente drammatica e quella del giallo,  è nata a Gianni Amelio dopo che gli è stato proposto un libro  “Essere felice”, romanzo dell’autore partenopeo Lorenzo Marone
Sasha e il Polo Nord di Rémi Chayé
Vincitore del premio del pubblico al Festival di Annecy 2016
Presentato al Future Film Festival
Dopo i passaggi festivalieri, arriva nelle sale con la PFA il più che convincente esordio alla regia di Rémi Chayé. Il percorso artistico di Chayé, storyboarder e assistente alla regia di The Secret of Kells e La tela animata, si rispecchia perfettamente nelle scelte di character design, nella predominanza dei colori sulle linee, nella elevata valenza pittorica di molte tavole e nella qualità dello script di questa opera prima. Romanzo di formazione, avventura ed esplorazione, Sasha e il Polo Nord (Tout en haut du monde) è l’ennesima dimostrazione della qualità ed estrema vivacità del cinema d’animazione transalpino. L’animazione tradizionale è vivissima.
Sasha, una giovanissima aristocratica russa alla fine del XIX secolo, sogna il Grande Nord e si strugge per suo nonno Oloukine, un rinomato scienziato ed esploratore dell’Artico che non ha mai fatto ritorno dall’ultima esplorazione alla conquista del Polo Nord. Lui ha trasmesso la sua vocazione a Sasha che certo non sta soddisfacendo le aspettative dei genitori, che già hanno organizzato per lei le nozze. Sasha si ribella a questo destino e decide di raggiungere Oloukine verso il Grande Nord… [sinossi]
Ancora la Francia. Sasha e il Polo Nord, aka Tout en haut du monde/Long Way North, conferma la dinamicità ed elasticità produttiva e artistica dell’industria animata transalpina, qui alle prese con un’opera prima e con una coproduzione con la Danimarca. Un’opera prima che non casca dalle nuvole: il percorso artistico di Rémi Chayé, storyboarder e assistente alla regia degli imprescindibili The Secret of Kells e La tela animata, si rispecchia perfettamente nelle scelte di character design, nella predominanza dei colori sulle linee, nella elevata valenza pittorica di molte tavole e nella qualità dello script. Insomma, talento grafico, messa in scena e un raffinato gusto per la narrazione – letteratura per ragazzi, d’avventura e d’esplorazione che prende per mano lo spettatore e lo porta in giro per il mondo, come un Michele Strogoff per ragazzini e in gonnella [1].
Sasha e il Polo Nord è un gioiellino da difendere a spada tratta. Allo spirito avventuroso di pellicole come Le avventure di Zarafa – Giraffa giramondo, che gli sceneggiatori Claire Paoletti e Patricia Valeix rendono più compatto e maturo, Chayé aggiunge affascinanti scelte cromatiche ed estetiche. Si rintraccia, come detto, la predominanza dei colori sulle linee de La tela animata di Jean-François Laguionie, ma ci piace pensare e risalire all’abbacinante Fehérlófia (1981) dell’ungherese Marcell Jankovics: un’animazione che non rinuncia mai all’arte e alla narrazione, che rivendica le proprie radici culturali, produttive ed estetiche. Pur non spingendosi fino alle sperimentazioni visive di Jankovics, e abbracciando una chiarezza didascalica sia nello script che nelle immagini, Chayé mette in mostra un’animazione che non si preoccupa dei dettagli ma che deflagra nei campi lunghi, nei totali, nei paesaggi e nei volti tondeggianti e delicati dei giovani protagonisti.
Sasha e il Polo Nord non insegue il fotorealismo o un’impeccabile fluidità dei movimenti, ma cerca di riempire lo sguardo degli spettatori con i colori e i loro accostamenti. Sasha e il Polo Nord è animazione impressionista che si mette a servizio di una narrazione puskiniana: l’ipercromatismo, accompagnato da un comparto sonoro scarno ma efficace e da alcune sottili intuizioni di sceneggiatura (ad esempio, la mano di Sasha che accarezza il mappamondo, facendolo girare e prefigurando l’imminente avventura), nasce dal bianco e riesce a dare un senso compiuto a ogni singola tavola, a ogni passaggio narrativo e psicologico. Illuminante, per l’utilizzo del bianco e degli altri colori, la sequenza del treno che si allontana verso l’orizzonte, tra il verde dei prati, l’azzurro del cielo e le candide nuvole.
Trailer ita:  https://www.youtube.com/watch?v=Gqr9bm0T3PI
Materiali stampa: http://www.pfafilms.com/lista-film/catalogo-distribuzione/155-sasha-e-il-polo-nord.html
On the milky road – Sulla via lattea
di Emir Kusturica
MENZIONE SPECIALE , PREMIO SIGNIS E LEONCINO D’ORO AGISCUOLA ALLA 73. MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2016).
Tra realismo e di visionarietà, Emir Kusturica torna sulla guerra balcanica e dirige Monica Bellucci in una delle più efficaci interpretazioni della sua carriera.
Primavera in tempo di guerra in quella che fu la Jugoslavia. Un lattaio attraversa quotidianamente i campi di battaglia cavalcando il suo asino e sfuggendo al tiro incrociato dei fronti opposti. Nel villaggio in cui vive c’è una ragazza che lo vorrebbe sposare e che, nel frattempo, sta organizzando il matrimonio per il fratello eroe di guerra. Per far ciò ha fatto arrivare una donna di madre italiana e padre serbo che attrae immediatamente l’attenzione del lattaio. Ha inizio così una storia di passione che deve confrontarsi con la follia del conflitto armato.
“L’unica cosa che abbia un senso è amare qualcuno, come si può”. Questa frase, pronunciata da una Monica Bellucci in una delle più efficaci interpretazioni della sua ormai lunga carriera, ci dice come Kusturica, qui anche attore protagonista, torni a leggere il conflitto che ha insanguinato la sua patria sotto una nuova luce. Il suo è un cinema che si innerva da sempre su un mix di realismo e di visionarietà ma mai come in questa occasione il rapporto uomo-donna si è andato ad opporre alla devastazione causata dall’uomo armato. Il suo lattaio che caracolla con asino e ombrello (quasi novello Trinità) tra le pallottole è un innocente sopravvissuto a perdite cruente ma capace di ‘leggere’ la Natura. Perché qui gli animali (con in primo piano un falco pellegrino e un serpente) fanno da controcanto all’impazzimento degli uomini sin dalle prime inquadrature. Ci sono oche che sguazzano nel sangue di un maiale sgozzato così come ci saranno pecore chiamate al sacrificio o una gallina impazzita che rivaleggia con la propria immagine allo specchio.
Ci sono poi ‘loro’: un uomo e una donna che cercano di sfuggire a una realtà in cui anche la misurazione del tempo è divenuta assurda (c’è chi ha ai polsi due orologi mentre un altro orologio enorme fa di tutto tranne segnare l’ora). Il loro avvicinarsi ha origine da vite non facili che trovano una modalità di comunicazione che supera il contingente. Ecco allora che il testo ad epigrafe che apre il film: “Tratto da tre storie vere e da molta fantasia” trova attraverso i loro corpi una conferma. Perché si può essere certi che Kusturica abbia attinto a fatti realmente accaduti in quello che è stato uno dei più sanguinosi conflitti della storia recente. Così come si può avvertire quasi a pelle il suo bisogno di trasfigurarlo in immagini che consentano ai suoi protagonisti di andare ‘oltre’ l’orrore per cercare insieme una liberazione da ciò che non si può più sopportare. Non sono solo gli uccelli a volare in questo film che ci regala un finale che, come accadde per Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera di Kim Ki-Duk, è destinato a rimanere nella memoria.

Programmazione Cinema Italia dal 09-05 al 14-05

Famiglia all’improvviso

istruzioni non incluse di H. Gèlin
Un film che tocca corde profonde e tesissime, senza rimpianti e con un Omar Sy come sempre perfetto.
Samuel è un eterno adolescente, uno che vive in vacanza dalle responsabilità della vita, che non riesce a fermare il divertimento nemmeno quando l’ora si fa tarda. Poi, una mattina, bussa alla sua porta una vecchia fiamma, la ragazza di un’estate, Kristin, di cui Samuel non serba quasi ricordo e gli mette in braccio un neonato, Gloria: sua figlia. Kristin sale quindi su un taxi e sparisce letteralmente nulla. Samuel la rincorre a Londra, convinto che si tratti di un disguido rapidamente risolvibile, ma otto anni dopo lui e Gloria sono ancora insieme, più legati che mai.
Se fosse un esercizio di ginnastica, un movimento del corpo, il film di Hugo Gélin sarebbe una capovolta. Un movimento acrobatico, a suo modo spettacolare, che però è alla portata di tutti; un’inversione, come quella nascosta nel titolo originale: “Demain tout commence”, e nel meccanismo al centro del film stesso, che non si può svelare senza pregiudicarne in parte la visione.
Una capriola come quelle all’ordine del giorno nel lavoro londinese di Samuel, lo stuntman, nel quale l’impatto è reale, inevitabile, ma l’abilità del professionista sta nel saperlo controllare, nell’andarci incontro nel migliore e più sicuro dei modi. In questo senso, nonostante sia il primo a lamentarsi dello scherzo della sorte e a dire che “non si fa un bambino con un altro bambino”, Samuel si rivela presto un professionista della paternità, che mette il suo “lavoro” al centro di tutto e adatta la sua vita di conseguenza. Questa è la parte su cui il film si concentra di più, giustamente, perché quando, per l’appunto con una capovolta, il quadro cambia radicalmente, nello spettatore non deve andar perso il sapore della prima parte, un sapore di felicità, e Omar Sy, dopo Quasi amici è una perfetta garanzia in questo senso.
Storie come queste possono generare grande adesione ma anche un istintivo rifiuto, perché toccano corde profonde e tesissime, eppure ci sono almeno due ragioni che stanno saldamente dalla parte di Famiglia all’improvviso : la prima è che non c’era un altro modo di raccontare questa storia; non sarà nuovo, sarà smussato dai tratti più spigolosi, ma quello scelto dagli sceneggiatori è probabilmente l’approccio migliore a disposizione; e poi è un film senza rimpianti, almeno da parte dei protagonisti, e in questo genere di racconti sono i rimpianti a secernere retorica, ragion per cui la loro assenza è di per sé un bella notizia.
Un eroe del nostro tempo
Bolshoi Ballet – durante la serata è prevista una gustosa sorpresa
Il viaggio di un giovane nel Caucaso.
Pechorin, un giovane ufficiale, inizia un viaggio attraverso le maestose montagne del Caucaso, lungo un cammino segnato da vari incontri appassionati. Disilluso e noncurante, continua a infleggere pene a se stesso e alle donne attorno a lui… “Dammi tutto, non è ancora abbastanza.” La storia incentrata sull’eroe Pechorin, tratta dal capolavoro letterario di Mikhail Lermontov, segue in tre storie separate i suoi strazianti tradimenti. Pechorin è un vero eroe? O è un uomo come tutti gli altri? Questa nuova produzione dal coreografo Yuri Possokhov è un tragico viaggio poetico che può essere visto solo al Bolshoi.
L’altro volto della speranza di A. Kaurismaki
Orso d’argento al Festival di Berlino 2017
Kaurismaki impartisce importanti lezioni senza dimenticare di far sorridere, come solo i grandi del cinema hanno saputo fare.
Khaled è un rifugiato siriano che ha raggiunto Helsinki dove ha presentato una domanda di asilo che non ha molte prospettive di ottenimento. Wilkström è un commesso viaggiatore che vende cravatte e camicie da uomo il quale decide di lasciare la moglie e, vincendo al gioco, rileva un ristorante in periferia. I due si incontreranno e Khaled riceverà aiuto da Wilkström ricambiando il favore. Nella società che li circonda non mancano però i rappresentanti del razzismo più becero.
L’insoddisfazione esistenziale sembra essere ormai connaturata con la vita dell’uomo occidentale. Non è un caso che il film ci mostri all’inizio Wilkström che se ne va da casa lasciando sul tavolo la fede nuziale.
Kaurismaki ha già però provveduto a metterci sull’avviso: ci sono ben altre tensioni che attraversano il mondo e il volto di Khaled, nero del carbone in cui si è nascosto, ce lo testimonia. Il Maestro finlandese continua a visitare il suo mondo di emarginati ed autoemarginati dalla vita ai quali non è concesso di mostrarsi troppo malinconici (anche se lo sono) e che a buon diritto possono provare gli stessi sentimenti dello Shylock shakespeariano.
A partire da Miracolo a Le Havre in questo universo si è però inserito, con la forza dirompente di un estremo bisogno di solidarietà, il tema dell’immigrazione. Kaurismaki non crede in una religione ed esonera da questo compito anche il suo protagonista siriano, liberandolo così da quel marchio che l’ISIS gli ha imposto e che l’Occidente più retrivo è stato ben lieto di potergli indiscriminatamente applicare. Crede però nell’umanità e i suoi personaggi, a differenza di sacerdoti e leviti, sono buoni samaritani in cui l’egoismo cerca magari di farsi strada ma senza troppe possibilità di successo.
Sasha e il Polo Nord di Rémi Chayé
Vincitore del premio del pubblico al Festival di Annecy 2016
Presentato al Future Film Festival
San Pietroburgo, 1882. Sasha, una giovanissima aristocratica russa, sogna il Grande Nord e si strugge per suo nonno Oloukine, un rinomato esploratore dell’Artico che non ha mai fatto ritorno dall’ultima spedizione alla conquista del Polo Nord. Oloukine ha trasmesso la sua vocazione a Sasha, ma i genitori della ragazza meditano di darla presto in sposa, e hanno già organizzato per lei le nozze. Sasha però si ribella a questo destino e decide di partire alla ricerca di Oloukine, verso il Grande Nord…
Trailer ita:  https://www.youtube.com/watch?v=Gqr9bm0T3PI
Materiali stampa: http://www.pfafilms.com/lista-film/catalogo-distribuzione/155-sasha-e-il-polo-nord.html
La tenerezza di Gianni Amelio
“La Tenerezza” narra una storia ambientata a Napoli, ma una Napoli lontana dagli scenari della malavita organizzata: stavolta le vicende hanno luogo fra le mura di una famiglia borghese, in un ambiente  familiare in cui le gioie si uniscono a momenti di profondo sconforto e violenza, dove un padre vive con dei figli che purtroppo non ama.
I figli in questione sono due bambini, fratello e sorella, in costante conflitto tra loro, vittime di un clima familiare poco stabile, dove possono soltanto osservare ciò che accade, senza poter assolutamente reagire.
La vita che all’apparenza può sembrare felice, nasconde delle pieghe e delle sfaccettature di pura tragedia. Il dolore è tanto, ma la speranza è l’ultima a morire.
“La Tenerezza” è un film che ben rappresenta il continuo fluire di sentimenti, tra persone diverse, che sembra facciano di tutto per allontanarsi da qualsiasi forma di affetto. Abbiamo un padre che non ama i suoi figli, che vittime della freddezza familiare hanno un rapporto contrastante. Sentimenti che sfumano nel sorriso ma anche nella violenza.
Ma il titolo non è ingannevole, il regista Gianni Amelio ha dichiarato: “Io credo che il bisogno di tenerezza si abbia nei momenti di tragedia quando qualcuno è bombardato da tanti problemi: la tenerezza è un bisogno, è un bisogno darla ma soprattutto riceverla!”. Parole che riassumono il senso del film, che parla d’amore, di storie d’amore che si incrociano e che ha un cast ‘perfetto’, almeno così lo definisce lo stesso director.
Un film, questo, riconosciuto di interesse culturale, con il contributo economico del ministero dei beni e delle attività culturali del ‘turismo-direzione generale cinema’. L’idea di questa pellicola, che unisce insieme la componente drammatica e quella del giallo,  è nata a Gianni Amelio dopo che gli è stato proposto un libro  “Essere felice”, romanzo dell’autore partenopeo Lorenzo Marone.