PROGRAMMAZIONE CINEMA ITALIA DAL 06-10 AL 11-10

Martedì 06 ottobre ore 21  –  IL PIANETA CHE CI OSPITA di E. Olmi

                                                 –  I SOGNI DEL LAGO SALATO di A. Segre

                                                ingresso unico € 4 + abbonamenti cineforum

Mercoledì 07 ottobre ore 21  –  IL PIANETA CHE CI OSPITA di E. Olmi

                                                 –  I SOGNI DEL LAGO SALATO di A. Segre

                                                  ingresso unico € 5

Venerdì 09 ottobre ore 21  –  IL PIANETA CHE CI OSPITA di E. Olmi

                                                 –  I SOGNI DEL LAGO SALATO di A. Segre

                                                  ingresso unico € 5

Sabato 10 ottobre ore 18.30  –  INSIDE OUT di P. Docter – ingresso unico € 4

Sabato 10 ottobre ore 21  –  RITORNO ALLA VITA di W. Wenders

Domenica  11 ottobre ore 16.30  –  INSIDE OUT di P. Docter – ingresso unico € 4

Domenica 11 ottobre ore 18.30 e 21 –  RITORNO ALLA VITA di W. Wenders

 I SOGNI DEL LAGO SALTO

Note di regia
Se avessi ascoltato la ragione probabilmente non sarei partito. Non cercavo qualcosa di preciso. In questo film, più che in molti altri, ho semplicemente seguito il desiderio e l’istinto. E’ il privilegio del cinema documentario. E’ l’emozione del cinema documentario. Una libertà di sguardo e di pelle, che proverò a seguire sempre. Volevo andare in Kazakistan. Perdermi in terre di confine, in orizzonti talmente ampi da diventare intimi. “I sogni del lago salato” sono sogni che ho cercato nelle steppe asiatiche e che ho poi ritrovato nella cantina di mio zio Alberto (cugino direbbe lui), dove piccoli antichi sogni erano custoditi nelle pellicole 8 mm di 50 anni fa. Sono sogni che l’umanità ciclicamente prova a fare, senza avere il coraggio di fermarsi, di chiedersi cosa rimane indietro. Negli ultimi anni questi sogni sono accelerati a tal punto che per la mia generazione è diventato invece necessario iniziare a chiederselo. Stiamo contando le ferite e abbiamo voglia di fermarci. Abbiamo voglia di non accettare che gli orizzonti siano solo quelli della necessità di crescere. A me lo ha insegnato Sozial, un pastore in riva al Mar Caspio, sotto la prima tempesta di neve dell’inverno scorso. In Kazakistan. Non così lontano da qui.    Andrea Segre
 
INSIDE OUT
Inside Out è un film da vedere e rivedere. Ingegnoso, divertente, talvolta struggente, ritmato e – mai parola è stata più azzeccata – emozionante. Con incassi attorno ai 750 milioni di dollari nel mondo, è uno dei colpi migliori assestati dalla Disney-Pixar. Non è certo un caso che alla regia ci sia lo statunitense Pete Docter, già sceneggiatore di Toy Story – Il mondo dei giocattoli eWALL•E e premio Oscar al miglior film d’animazione per il dolcissimo UP. Una nuova nomination all’Academy Award è assicurata. Chissà che non giunga anche una nuova statuetta. Ad aiutarlo come co-regista Ronnie Del Carmen.
Inside Out ci porta nella testa dell’undicenne Riley. Nel quartier generale, a governare le reazioni della bambina c’è un affiatato e buffo quintetto di emozioni antropomorfe: la leader è Gioia, solare, con corpo da fata; accanto a lei ci sono Tristezza, blu, bassa e tondetta, occhialoni e maglione a collo alto, sempre giù di morale; Paura, che tiene in guardia Riley, è viola e magrissimo e pronto a drammatizzare su tutto; Rabbia è tarchiatello e ovviamente rosso, in camicia e cravatta; Disgusto è verde e stilosa. Sono solo cinque le emozioni immaginate dalla Pixar alla guida dell’umanità eppure sono una sintesi perfetta.
In fase di preparazione “ci siamo divertiti a leggere Freud e Jung… pur non essendo letture leggere. La verità è che nessuno sa come l’uomo veramente funzioni, e per questo ci sono tante teorie e filosofie, spesso in conflitto. La nostra è una versione un po’ più pop di Jung”, ha detto Docter a Roma per presentare il cartoon. Non è stato facile decidere quali emozioni rendere protagoniste: “Avevamo provato orgoglio, speranza, ‘schadenfreude’ (piacere procurato dalla sfortuna degli altri, ndr) ma ci siamo concentrati su cinque. Sono un po’ i nostri sette nani”..
RITORNO ALLA VITA
Come una favola, il cinema di Wenders verso altre forme/visioni: il modo di ri/vedere il documentario (lo strepitoso Pina), il legame col cinema statunitense come nel caso di quest’ultimo Ritorno alla vita. Più che un titolo, una frase ricorrente. Più che ripetuta, se ne sente l’eco in tutto il film. Quasi un piccolo pezzo di neve del paesaggio. La stessa neve di un film/dichiarazione/titolo: La vita è meravigliosa.
Una sera d’inverno Tomas (James Franco), un romanziere, dopo una discussione con la sua fidanzata Sara (Rachel McAdams), inizia a guidare senza meta in una strada di campagna. Sta nevicando e improvvisamente compare davanti a lui una slitta con un bambino. I freni cedono, l’auto slitta. E’ riuscito ad evitare l’incidente o no? Il bambino è salvo. Ma era da solo o no? Questo evento manderà progressivamente in frantumi la sua relazione. E lui stesso cadrà in una profonda depressione. La scrittura diventa l’unica arma per sfuggire alla sua condizione.
James Franco, curiosamente presente nei film di Herzog e Wenders i due cineasti tedeschi contemporanei più importanti, sembra guardare in macchina. E’ solo un’illusione. Il suo sguardo invece è catturato da una soggettiva, tranne nell’inquadratura finale. Si, Ritorno alla vita è anche un racconto in prima persona. Lo scrittore non nell’atto dell sua creazione, ma nel gioco parallelo tra scrittura e vita. E potrebbe già trattarsi di un romanzo autobiografico.
Sbanda sotto la tempesta Ritorno alla vita. Rimbalza tra passato e presente. Il suo cinema non può più (s)fuggire in uno spazio. La corsa si interrompe subito. La terra (prima) dell’abbondanza può apparire arida. L’ultimo Wenders è una sperimentazione frenata ma anche maestosa, che trova il suo punto di fuga nel tempo. Il film procede per progressive ellissi. Che possono apparire come stacchi temporali netti. Ma che possono essere anche il prolungamento, la metamorfosi di una magia. Con gli adulti che restano uguali a se stessi anche col passare degli anni. Con i figli che crescono e arrivano al momento della resa dei conti.
Probabilmente Ritorno alla vita è una nuova dimensione del cinema di Wenders. Un road-movie che non può più attraversare il paesaggio e viaggia nel corso del tempo. Che ha dei momenti potentissimi, come l’incidente nel luna park. Che vuole abbattere lo spazio come nella telefonata tra Tomas e Kate, la mamma del bambino/i, interpretata da una dolente Charlotte Gainsbourg che qui sembra sempre più un’attrice venuta dal passato. Con i due personaggi sono separati ma compaiono come fantasmi nella stessa inquadratura. Come magie. Dissolvenze di un’unione negata.
Ma è anche un film su una condizione emotiva. Ed è quella, nei suoi difetti, che fa vibrare Ritorno alla vita. Da quei vetri delle finestre, dove c’è la trappola di stare lì dentro e il desiderio di uscire fuori. Proprio come la contraddizione di quest’ultimo Wenders. Tra paura e desiderio, appunto. Che lascia i personaggi nella loro solitudine. Che non gli nega i suoi necessari abbracci. Quello di un cinema che ha ancora bisogno di stare attaccato al suo immaginario, ma che sta coraggiosamente cercando di non invecchiare.

PROGRAMMAZIONE CINEMA ITALIA DAL 28-08 AL 30-08

Venerdì 28 agosto ore 21 – L’ULTIMO LUPO di J.J. Annaud

Sabato 29 agosto ore 21 – L’ULTIMO LUPO di J.J. Annaud

Domenica 30 agosto ore 18.30 – L’ULTIMO LUPO di J.J. Annaud

Domenica 30 agosto ore 21 – SEI VIE PER SANTIAGO di L.B. Smith

L’ultimo lupo (Wolf Totem)

Predatori abili, vendicativi e allo stesso tempo riconoscenti fino all’inverosimile, i lupi hanno affascinato gli uomini, che in quest’animale vedevano destrezza e abilità tutte da imitare. Per i popoli guerrieri, questi predatori dagli occhi che quasi illuminano la notte più buia, erano delle divinità da venerare. La stessa Roma, secondo la leggenda, è nata proprio grazie al calore e alla dolcezza di una lupa che allevò Romolo e Remo, primogeniti della città eterna. Un tempo anche nel cuore delle montagne italiane dimoravano branchi di lupi, oggi ridotti a pochi esemplari. La settima arte, dicevamo, ha posato la sua macchina da presa su quest’animale e l’ha fatto attraverso generi diversi. Dal celebre Zanna Bianca (1991) a Balla coi lupi (1990) il cinema ha immortalato il momento in cui il cammino di un uomo s’incrocia con quello di un lupo, dando inizio a una danza intrisa di magia. Il plot è lo stesso anche ne L’ultimo lupo, uscito al cinema il 26 marzo 2015. L’azione si sposta nella Mongolia interna degli anni Sessanta, all’epoca della rivoluzione culturale cinese. Tratto dal libro Il totem del lupo di Jiang Rong, il lungometraggio stupisce per la bellezza delle immagini, realizzate anche per il 3D che, come afferma il regista francese Jean-Jacques Annoud, è efficace non nei campi lunghi e lunghissimi, bensì nei primi e nei primissimi piani. I paesaggi, e non solo i lupi, sono i veri protagonisti di questa pellicola dai toni impressionistici e carica di saggezza, che ha passato miracolosamente la censura del Governo cinese. Il messaggio de L’ultimo lupo è lapalissiano. La trama è semplice ma efficace. Chen Zhen (Feng Shaofeng) è uno studente di Pechino, acculturato, che poco conosce della Mongolia dove vive una comunità di pastori, ai quali Chen deve insegnare a leggere e scrivere, ma sarà quest’antico popolo a dare degli insegnamenti di vita al giovane che ritrova pace e serenità nella steppa, proprio come accade in Giappone a Nathan Algren ne L’ultimo samurai (2003).  Chen non si ribella apertamente agli ordini governativi ma con coraggio decide di salvare dalla morte l’ultimo cucciolo di lupo rimasto e di allevarlo come si fa con un cane. E…se proprio vogliamo trovare un difetto a questo film, possiamo individuarlo nella mancanza di personalità del protagonista. Bisogna tuttavia ricordare che L’ultimo lupo è stato finanziato dalla Cina e, quindi, Chen non poteva essere certo un ribelle. Al contrario il film si pone l’obiettivo di far riflettere i cinesi (e non solo) sullo spinoso problema dell’inquinamento ambientale. La pellicola, anche se manca di quel pathos proprio per le suddette ragioni, ci affascina grazie all’abilità del regista e a quella filosofia esistenziale che vede nel cielo e nella terra il principio e la fine del Tutto

Sei vie per Santiago (Walking the Camino)

Viaggiare significa lasciare a casa una parte di sé, per cercare tra le vie del mondo tutte le risposte intrappolate nei meandri del cuore; e al nostro ritorno, non saremo più gli stessi.
Lydia B. Smith vuole raccontare proprio questo attraverso il documentario Sei Vie per Santiago – Walking the Camino, in cui la filosofia del viaggio acquista un plus valore poiché va ad amalgamarsi nel contesto sacrale del pellegrinaggio, del cammino fatto a piedi, in una strada aspra e meravigliosa, che da Saint Jean Pied de Port attraversa il territorio francese e spagnolo, passando da Pamplona a Burgos, dal Convento di Sant’Antonio a La croce di Ferro e così via per ben 800 km, fino a raggiungere Santiago Di Compostela. Un tragitto conosciuto fin dal Medioevo, tra l’altro dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, in cui la regista riversa, come sulla tavolozza di un pittore, personalità differenti, ognuno con la propria battaglia, ognuno perso in una strada che ha bisogno di esplorare, spesso senza volerlo o senza saperlo.

Così Annie si lascia guidare dalla spiritualità e dalla competitività di stare al passo con gli altri, rendendosi infine conto che il suo corpo necessita di un passo lentissimo e meraviglioso, perché la vita va assaporata a piccoli sorsi. Per Wayne percorrere il Cammino di Santiago equivale ad onorare la memoria della moglie e nel rimembrare la sua assenza si fa accompagnare dal prete Jack. Misa ha intrapreso la sua lunga passeggiata pensando di ritagliarsi un momento per sé e restare sola, ma William sembra averle scombinato i piani! La tenace brasiliana Sam ha bisogno di ritrovare la forza e prendere in mano la sua esistenza; Thomas lo fa per sport, mentre Tatiana è spinta da una fede incrollabile e con coraggio si cimenta in questo viaggio col figlio di 7 anni e col fratello ateo Alexis, che spera di cambiare, ma alla fine sarà lei a trovarsi diversa.

La macchina da presa si muove con poetica destrezza tra i fili d’erba commossi di rugiada, prati illuminati dal sole, distese di grano che danzano al vento e piccoli ostelli in cui rifugiarsi con l’anima e il corpo, condividendo non solo il cibo, ma anche ansie, dolori, aspettative e gioie.

Credo di essere nata per fare questo film – racconta la Smith – Percorrendo il Cammino mi sono resa conto di quanto sia magico e sacro… non pensavo che sarei stata in grado di captare la sua magia. È un cammino verso il cuore, verso quello che c’è dentro.

La pellicola sa convogliare gli spettatori verso il ghirigori della storica via dei pellegrini, con l’aiuto di una colonna sonora spirituale, in grado di sintonizzarsi perfettamente al battito del cuore. Fa venire voglia di abbandonare tutto il caos della routine quotidiana, mettere da parte i rancori accumulati, le imprecisioni di una vita già programmata; azzerare il rumore del bla bla bla di fondo e alzare unicamente il volume della vita che scorre dentro: fluida, libera, già conscia di quale sia la sua meta.

La regista americana sa prenderci per mano e insegnarci che ognuno ha il suo passo, ma che tutti alla fine raggiungono la vetta; sa farci capire, senza giri di parole e filosofie trascendentali, che la tutta la nostra vita è un viaggio alla scoperta di noi stessi e che dietro la fine si cela sempre un nuovo inizio.

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ingresso intero € 5 – ridotto € 4

solo per il film SEI VIE PER SANTIAGO l’ingresso è unico ad € 4